GLI OSTAGGI TORTURATI
ECCO COME STANNO VIVENDO DA 16 MESI GLI OSTAGGI NELLE MANI DI HAMAS
Luisa Ciuni
Non basta la liberazione per fare di un ostaggio nuovamente una persona libera, per restituirlo alla vita precedente.
Lo choc di quanto vissuto dai sequestrati israeliani durante il pogrom e gli esiti dei seguenti soprusi fisici e psicologici durano a lungo. Più sono stati i giorni di prigionia, tanto il recupero è lento e complesso.
Di alcune reazioni eravamo a conoscenza grazie agli studi sui sequestrati eseguiti negli ultimi anni, ma nuovi e drammatici elementi si aggiungono a quanto già noto leggendo la relazione dello Stato di Israele al relatore speciale sulla tortura e altre pene e trattamenti crudeli, inumani o degradanti, siglata da Alice J. Edwards e illustrata a Ginevra prima di Natale.
Il documento è scarno e del tutto privo di enfasi ma quanto espone è duro da leggere perché atroce. Ad esempio, se si sapeva degli stupri e degli abusi sulle donne (nel silenzio assordante non solo delle femministe ma anche di larghe fette della società civile) e sugli uomini, della mancanza di nutrimento adeguato e di cure (specie di farmaci salvavita) non era ancora emerso il dettaglio di prigionieri marchiati a fuoco come animali.
“Due bambini – un esempio fra i molti che propone lo scritto – hanno riferito di essere stati tenuti legati e picchiati durante la prigionia. Su di loro cicatrici e tracce di legami, i segni coerenti con quanto narrato. Inoltre, entrambi avevano tracce di bruciature agli arti inferiori ed uno di loro ha dichiarato che erano il segno di una marchiatura deliberata con un oggetto riscaldato.”
Il caso, espone lo scritto, non è isolato. Cicatrici analoghe sono state riscontrate anche su uomini adulti che hanno parlato di bruciature eseguite con strumenti di zinco.
Ma questi sono solo alcuni esempi fra i tanti. Che sono moltissimi.
Una prigioniera, ferita durante il pogrom, è stata tenuta in isolamento per un mese, legata e senza la possibilità di muoversi: non ha avuto contatti col mondo esterno, non è stata curata e ha ricevuto pochissimo cibo. Molti uomini sono stati picchiati, gli sono stati strappati i capelli, sono stati tenuti costantemente legati e senza uso dei bagni quindi costretti a defecarsi addosso nella chiara volontà di abbrutirli.
Percosse, abusi sessuali, privazione di alimentazione sufficiente e di sonno, lavaggio del cervello, mancanza di igiene ed altre vessazioni facevano parte (fanno parte sugli ostaggi ancora nelle mani di Hamas) di un piano palesemente ideato per spezzare la resistenza fisica e morale dei sequestrati. Di fatto si è trattato di una tortura sistematica, durata mesi, organizzata con raro sadismo. E se – può obiettare l’avvocato del diavolo – cibo e medicine potevano essere pochi dato lo stato di guerra- non c’è modo di giustificare le marchiature a fuoco, il divieto di andare in bagno, le botte, la tortura del sonno, le violenze sessuali, i lavaggi del cervello e tutto ciò che hanno subito gli ostaggi.
Ai medici israeliani che sono arrivati in soccorso dei rilasciati, sono apparsi uomini e donne con serie malattie da mancanza di medicine appropriate per lungo tempo (nel caso di soggetti cardiopatici, ad esempio, o ipertesi) che hanno richiesto ricovero.
La maggior parte dei liberati soffriva di infezioni di vario genere ma quasi tutte di una certa gravità, di dermatiti originate dall’impossibilità di lavarsi, di trombosi profonde dovuta alla mancanza di movimento, eccetera. Accanto a questi casi, quelli di un grande numero di persone sofferenti per gli esiti delle ferite ricevute durante il pogrom e mai curate quindi infette o di fratture mal saldate.
Ma il dramma dei rilasciati non si ferma qui. Il peso psicologico della detenzione è elevatissimo nonostante le cure, gli affetti, la solidarietà.
Sottratti dalle loro abitazioni in maniera violenta, spesso dopo avere visto i propri familiari assassinati oppure tenuti all’oscuro della sopravvivenza del gruppo familiare e nell’incertezza della propria sorte, molti ex prigionieri soffrono ancora adesso di stress post- traumatico spesso insorto mesi dopo il rilascio rendendo molto complicato il recupero dalla vita normale.
Alcuni, come molti reduci dai lager, si sentono in colpa verso i familiari assassinati per essere sopravvissuti o verso gli ex compagni di prigionia. Così c’è chi vorrebbe tornare nei sotterranei di Gaza per aiutare chi è rimasto lì. Un simile sentimento rende la vita da libero insopportabile a chi ha ancora familiari nelle mani di Hamas e lo tormenta notte e giorno. Accanto c’è chi non riesce a tornare alle antiche abitudini: continua a non lavarsi, nasconde il cibo perché ha paura di non averne in seguito, soffre di incubi.
Gli ex ostaggi che il 7 ottobre hanno perso tutta la famiglia e la casa non riescono a recuperare pienamente mentre i razzi e le sirene che suonano rendono ancora più tesi i nervi di chi sta faticosamente ritrovando sé stesso. Spesso – spiegano gli psicologhi – con certuni è bene non parlare del tutto dell’esperienza appena passata perché il ricordo può danneggiare i piccoli passi avanti fatti.
Per dirla in breve, dal documento israeliano emerge un trattamento dei prigionieri che è stato una tortura deliberata, organizzata, attuata con rara ferocia. Chi piange per Gaza dovrebbe mostrare un po’ di solidarietà agli ostaggi vissuti nelle mani di Hamas. Appunto, dovrebbe.