ISRAELE: DIECI BUGIE PER DIECI GIORNI #8
Nicoletta Tiliacos
Dopo il 7 ottobre 2023, di fronte all’ondata di antisemitismo che percorre le società occidentali e contagia le giovani generazioni, è sempre più necessario smontare le menzogne sullo Stato ebraico, tese a negarne lo stesso diritto all’esistenza. Nel pamphlet intitolato “Le dieci bugie su Israele”, la giornalista e scrittrice Fiamma Nirenstein analizza i più deleteri luoghi comuni dell’odio antiebraico e antisraeliano, confutandoli uno per uno e smascherando le manipolazioni della realtà su cui si fondano.
Setteottobre ringrazia l’autrice, che ha accettato di mettere a disposizione del nostro sito questo suo prezioso lavoro, e la Federazione delle Associazioni Italia-Israele, che nell’aprile 2024 ne ha pubblicato e diffuso gratuitamente la versione cartacea.
È possibile scaricare gratuitamente il libro di Fiamma Nirenstein nella versione completa sul sito della Federazione delle Associazioni Italia Israele.
Bugia n. 8: Gli israeliani sono criminali di guerra che stanno compiendo un sistematico genocidio
Fiamma Nirenstein
Il gigantesco paradosso dell’accusa di genocidio portata contro Israele dal Sudafrica di fronte alla Corte Internazionale di Giustizia all’Aja a metà gennaio 2024, dopo che il 7 ottobre Israele aveva subìto un attacco genocida da parte di Hamas, è la prova di quanta energia, da decenni a questa parte, sia stata messa nella completa delegittimazione dello stato ebraico. La Corte, con un primo parere emesso il 26 gennaio, non ha accettato l’indicazione di imporre a Israele un cessate il fuoco, ma pur rifiutando la sostanza dell’accusa, ha lasciato la porta aperta a ulteriori discussioni e controlli nel futuro, acconsentendo di conseguenza alla continuazione di questa folle discussione. L’accusa parla di un genocidio programmato, che ricorda quello nazista, iniziato con l’espulsione dei palestinesi dalla loro terra nel 1948. Questa è la vera novità: a quanti riconoscono che Israele ha il diritto di esistere, ormai si contrappone senza vergogna una lettura che, sostenendo la natura coloniale e criminale dello Stato Ebraico, ne promuove la cancellazione, come avvenne per il Sudafrica dell’apartheid. La base storiografica del tema del genocidio l’hanno fornita alla fine degli anni Ottanta i testi dello storico israeliano Benny Morris, che nel 2005 ha però del tutto rivisto il suo assunto iniziale, laddove sosteneva l’idea di un’autentica pulizia etnica ai tempi della guerra di difesa del 1948. Un’ipotesi talmente artificiosa e non comprovata da documenti, da costringere in seguito Morris a prendere le distanze dalle proprie stesse tesi, e a fargli concludere che nella fuga degli arabi che lasciarono durante la guerra le loro case non ci fu nessuna programmazione israeliana, ma una congerie di motivi legati alla situazione di scontro, durissima anche per i soldati israeliani, molti dei quali appena scampati alla Shoah.
L’idea di una visione genocida della costruzione di Israele è talmente assurda che se ormai non fosse così diffusa, specie in questo periodo di antisemitismo di massa, non meriterebbe nessuna risposta. Ma il rovesciamento dei ruoli, ovvero la trasformazione degli ebrei da vittime in carnefici, costituisce una grande giustificazione retroattiva e attuale all’odio antiebraico: ieri per le persecuzioni degli ebrei, oggi per la continua tortura politica e terroristica cui Israele è sottoposto.
Israele non ha espulso gli arabi, che allora non venivano chiamati palestinesi, dalle loro case, né tantomeno ha programmato la loro distruzione fisica. Gli studi dimostrano che il fondatore stesso dello Stato di Israele, David Ben Gurion, aveva e predicava un parere opposto, e sperava dall’inizio in una pacifica convivenza con la minoranza araba: «Non vogliamo e non abbiamo bisogno di estromettere gli arabi. Qui c’è posto per tutti e due i popoli». Fu il rifiuto arabo della risoluzione ONU sulla Spartizione, nel 1947, accettata invece dalla leadership ebraica, a spingere cinque paesi arabi a mandare i loro eserciti a scalzare gli ebrei da queste terre. Fu semmai Azzam Pasha, il primo capo della Lega Araba, ad annunciare un programma di pulizia etnica a carattere genocida: «Questa sarà una guerra di sterminio, un memorabile massacro pari a quelli mongoli o delle Crociate».
È noto che i palestinesi se ne andarono in gran parte dalle loro case sulla spinta dell’invito arabo (diffuso per radio dalla Siria) a sgomberare, per consentire alle truppe che avanzavano una rapida vittoria, che avrebbe poi riportato a casa i fuggitivi sulla punta dei fucili. A Haifa, da cui si svolse il maggiore sgombero, l’Histadrut, ovvero l’onnipotente sindacato ebraico, la maggiore colonna portante del sionismo, pregò gli arabi di restare, ma senza risultato. Un po’ la paura naturale del conflitto, un po’ l’invito arabo, e alcuni episodi sanguinosi tipici di una guerra per la vita e per la morte – che però, occorre ricordarlo, gli ebrei non avrebbero mai voluto combattere, tanto che accettarono la partizione – spostarono dalle loro case quelli che poi sarebbero diventati i profughi palestinesi.
L’idea di considerare Israele genocida manipola e rovescia i fatti storici, accusando gli ebrei degli atti da essi stessi subiti. La grandiosa crescita del numero dei palestinesi stessi, sia a Gaza che nell’Autonomia Palestinese, e degli arabi israeliani sul territorio d’Israele, è una prova lampante che nessun genocidio è stato compiuto. Le stesse condizioni di vita dei palestinesi sono ottime nell’ambito del mondo arabo e nel contesto della loro leadership autoritaria, che programma solo guerra invece che benessere per la popolazione e usa di conseguenza le ingenti sovvenzioni internazionali.
Oggi, la responsabilità del grande numero di morti nella guerra di Gaza è dovuta all’uso cinico delle strutture civili (ospedali, scuole, case di abitazione) e dei cittadini stessi nell’ambito di una guerra senza divise, in cui lanciamissili e armi sono nascosti ovunque e chiunque può essere usato come una bomba umana o può travestirsi in battaglia, senza regole. Comunque i numeri non sono verificabili, gonfiati sia da scopi propagandistici di Hamas, che ha già dichiarato che quanti più morti potrà vantare tanto più questo costituirà motivo di soddisfazione politica e religiosa, sia dal fatto che si contano a decine di migliaia i morti in battaglia che appartenevano ai ranghi dei soldati senza divisa, ovvero dei terroristi di Hamas.
La diffusione popolare del concetto di un Israele genocida, l’attribuzione a Israele dell’intenzione di agire contro Hamas non per distruggere un nemico la cui presenza sul confine è impossibile da tollerare, perché ha promesso nuove incursioni e perché quindi i cittadini israeliani non possono tornare a casa sul confine stesso, è un fenomeno completamente nuovo e ha un carattere e un’ispirazione nettamente antisemiti.
La stessa parola “genocidio” è stata coniata nel 1944 dallo studioso ebreo Raphael Lemkin, la cui intera famiglia fu sterminata dai nazisti in Polonia. Israele mai ha perseguito alcun piano di distruzione del popolo palestinese. Mai ha perseguito neppure l’idea di realizzare una campagna o una politica intesa a distruggere la struttura etnica e nazionale dei palestinesi. Questo, riferito agli ebrei, invece è evidentemente parte dei piani dei palestinesi: sia Hamas che l’OLP, prevedono la distruzione dello Stato d’Israele già nelle loro carte programmatiche, l’uno per motivi religiosi, l’altro come scopo politico, e poi in tutta la loro storia di dichiarazioni e di azioni terroriste di massa, in cui né bambini né cittadini disarmati sono mai stati risparmiati.
Israele non ha mai massacrato masse di palestinesi inermi come invece ha fatto la Giordania col Settembre Nero nel 1970; non ha espulso 400mila palestinesi dal Kuwait nel 1990, non ha causato la dispersione di 390mila rifugiati in Siria dall’inizio del conflitto locale nel 2011, né li ha intrappolati, uccidendone 18mila, nel campo di Yarmuk in Siria.
Per smontare definitivamente l’oscena accusa di genocidio contro Israele, basterebbe attenersi ai dati di realtà. I calcoli più attendibili definiscono il numero dei profughi originari a circa 550mila. Bisogna ricordare che, negli stessi anni, dai Paesi arabi venivano cacciati 800mila ebrei, che si riallocarono definitivamente per la maggior parte in Israele e poi in giro per il mondo, Italia compresa. I profughi palestinesi, moltiplicati a milioni fino alla quarta generazione, seguitano a rivendicare il diritto al ritorno che dovrebbe cancellare Israele. Insomma, se davvero Israele avesse voluto cancellare i palestinesi, avrebbe fatto proprio un lavoro da incompetente, visto che si sono moltiplicati. A Gaza, certamente il luogo più caldo dello scontro fra Israele e palestinesi, in cui si svolgono periodiche guerre sanguinose, nel luglio del 1994 vivevano 731mila abitanti, mentre oggi si parla di due milioni e mezzo. I Territori e Gaza hanno avuto una crescita della popolazione palestinese da un milione e centomila persone circa nel 1950 a cinque milioni e mezzo di oggi.
La verità è che Israele non ha operato e non sta operando nessun genocidio. I genocidi nella storia hanno caratteristiche simili e inequivocabili: uccidere sistematicamente la popolazione, affamarla, privarla delle cure mediche, rendergli la vita impossibile sotto il profilo delle libertà civili. Ora, secondo l’Human Development Report dell’ONU, lo sviluppo dei palestinesi nelle aree gestita dall’ANP ha, quanto ad aspettativa di vita e tutto ciò che vi è legato, ovvero scolarizzazione, sanità, nutrizione, uno standard medio simile a quello di Paesi arabi medio-elevati.
Israele non è responsabile direttamente dello sviluppo palestinese, ma non lo ostacola e anzi si impegna nelle sue infrastrutture, dall’elettricità a internet, anche se i suoi tecnici vengono sovente aggrediti e perfino uccisi. Può invece capitare che la figlia tredicenne di Ismail Haniyeh, capo politico di Hamas, o la moglie di Abu Mazen, presidente dell’ANP, e soprattutto i bambini di Gaza (che io ho incontrato coi bambini siriani feriti in guerra negli ospedali israeliani) siano stati ricoverati gratuitamente e curati in Israele. È avvenuto anche nel febbraio 2024 a una sorella di Haniyeh, assistita durante un parto difficile nell’ospedale israeliano Soroka di Beersheva. Durante la Seconda Intifada, Arieh Eldad, allora dermatologo di fama, più avanti parlamentare della Knesset per un partito di destra, quando gli portarono in ospedale un giovane terrorista malamente ustionato a causa di un attacco, impose di tenerlo in cura con continui trapianti di pelle per un lungo periodo. Quando l’amministrazione dell’ospedale gli chiese di concludere le cure, Eldad ne trasportò il letto nell’ufficio del direttore, e minacciò un sit-in. Israele non limita le sue cure ai palestinesi, trasporta e cura innumerevoli feriti che raggiungono il confine nord sulle Alture del Golan. Fra gli uccisi del 7 di ottobre, e anche fra i rapiti, figurano molte persone che dai kibbutz si prendevano cura continua della vita dei palestinesi di Gaza, con rapporti di buon vicinato e di volontariato. Persone che accompagnavano dal confine ai centri medici le persone che da Gaza ne facessero richiesta. Questo non le ha salvate dalla furia genocida di Hamas.
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