LA TOURNÉE DELL’EMIRO DEL QATAR IN EUROPA, CHE VOLTA LE SPALLE A ISRAELE
Stefano Piazza
Il già teso confronto tra il presidente francese Emmanuel Macron e il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu si è ulteriormente intensificato negli scorsi giorni, con uno scambio molto duro incentrato sul ruolo delle Nazioni Unite nella creazione dello Stato di Israele. «Il signor Netanyahu non deve dimenticare che il suo paese è nato grazie a una risoluzione dell’ONU», ha dichiarato Macron durante il Consiglio dei Ministri, secondo alcune fonti presenti, come scrive Le Figaro. Macron si riferiva alla risoluzione 181 adottata nel novembre 1947 dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, che prevedeva la spartizione della Palestina in uno Stato ebraico e uno Stato arabo. Il presidente francese ha sottolineato che, in un momento delicato come la guerra a Gaza e in Libano, «non è il momento di ignorare le decisioni delle Nazioni Unite». Successivamente, come scrive Le Figaro, Macron ha affrontato il tema anche in una conversazione telefonica con Netanyahu. Durissima è la risposta di Benjamin Netanyahu: «Un promemoria al Presidente della Francia: non è stata la risoluzione dell’ONU a istituire lo Stato d’Israele, ma piuttosto la vittoria ottenuta nella Guerra d’Indipendenza con il sangue di combattenti eroici, molti dei quali sopravvissuti all’Olocausto, in particolare del regime di Vichy in Francia», ha dichiarato in un comunicato il capo del Governo israeliano che non ha certo nascosto la sorpresa per il cambiamento di rotta del presidente francese che è passato dal sostegno incondizionato a Israele alla richiesta di non fornire più armi allo Stato ebraico oltre alle continue critiche alla leadership israeliana. Interventi sempre enfatizzati dalla stampa araba e dai media mainstream che da più di un anno hanno adottato la narrazione dei tagliagole di Hamas come oro colato e per averne prova basta sintonizzarsi una sera qualsiasi su La7, oppure ascoltare il Tg3, giusto per rimanere in Italia, dove negli scorsi giorni sono aumentati a dismisura «gli orfani e le vedove» del leader di Hamas Yahya Sinwar ucciso dagli israeliani lo scorso 16 ottobre a Tal as Sultan mentre cercava di raggiungere il mare per poi scappare o in Egitto o in Qatar, oppure in Iran.
11 miliardi di euro a start-up e fondi di investimento in Francia tra il 2024 e il 2030
Per tornare alla Francia e alla crisi diplomatica in corso tra Parigi e Gerusalemme, alcuni commentatori certamente maliziosi (come chi scrive) sostengono che forse il cambiamento di rotta dell’Eliseo derivi dal fatto che il Qatar – grande protettore della Fratellanza musulmana e quindi di Hamas del quale è il braccio armato – ha firmato con la Francia il 29 febbraio 2024 una partnership strategica in base alla quale Doha ha accettato di destinare 11 miliardi di euro miliardi a start-up e fondi di investimento in Francia tra il 2024 e il 2030. Il Qatar che ha le mani sporche di sangue in quanto ha finanziato l’attacco terroristico del 7 ottobre 2023 in Israele, oltre a pagare la costruzione di moschee in giro e a finanziare associazioni a dir poco sulfuree e a mantenere sedicenti pensatori, ad esempio, l’islamologo Tariq Ramadan. Un tempo idolo delle sinistre, del quale ben conosciamo le vicende processuali e le relative condanne per stupro, finanzia da decenni la jihad globale, tanto che durante la guerra civile siriana ha finanziato il Fronte al-Nusra e altre milizie opposte al dittatore siriano Bashar al-Assad. Nella nota ufficiale dell’Eliseo si legge che «gli investimenti a reciproco vantaggio di entrambi i Paesi» si rivolgeranno a settori chiave che vanno dalla transizione energetica, ai semiconduttori, all’aerospaziale, all’intelligenza artificiale, al digitale, alla salute, all’ospitalità, alla cultura e allo sport. Tanto la squadra di calcio del Paris St. Germain è di proprietà del fondo sovrano del Qatar che ha in cassa qualcosa come 461 miliardi di dollari.
Con accordi da miliardi di euro e relativi scandali, Doha e Parigi mantengono da lungo tempo solidi rapporti politici ed economici, rafforzati da numerosi accordi firmati durante la recente visita dell’emiro Tamim Al Thani. Tra questi, spiccano le intese tra l’Agenzia Francese per lo Sviluppo e il Fondo del Qatar per lo Sviluppo. Gli investimenti del Qatar in Francia abbracciano vari settori, tra cui immobiliare, commercio al dettaglio, trasporti e come detto lo sport. Parallelamente, la Francia ha destinato ingenti risorse nelle infrastrutture petrolifere e del gas del Qatar, nell’aviazione, nella sicurezza e in altri ambiti. I legami militari tra i due Paesi sono molto significativi: nel 2017, il Qatar ha firmato un accordo per l’acquisto di 12 jet da combattimento Rafale di produzione francese, per un valore di 1,3 miliardi di dollari. Inoltre, la Francia fornisce al Qatar il sistema anti-drone BASSALT. Il commercio bilaterale continua a crescere costantemente, passando dai 4,9 miliardi di riyal (1,35 miliardi di dollari) del 2017 ai 16,5 miliardi di riyal del Qatar (4,53 miliardi di dollari) nel 2022. Tutto questo vorticoso giro di miliardi nasconde un giro di corruzione impressionante che ha toccato tutti i gangli della politica francese (destra e sinistra senza alcuna distinzione), al punto che l’ambasciata del Qatar a Parigi è stata a lungo considerata una sorta di «bancomat» al quale attingere denaro per ogni necessità.
Corruzione e soft power
Il Qatar, una penisola all’interno della penisola arabica, è tra i Paesi più piccoli al mondo. La sua superficie si estende per 11.571 km² e la sua popolazione conta circa 2,8 milioni di persone, delle quali solo il 10% possiede la cittadinanza qatarina ma nonostante le ridotte dimensioni ha un grande peso internazionale grazie ai miliardi di dollari che spende per poter influenzare le scelte politiche in tutto il mondo. E come lo fa? Corrompendo i politici come visto nel «Qatargate», uno scandalo gigantesco scoppiato all’interno del Parlamento europeo che piano piano è stato dimenticato perché troppo grosso, nel quale sono rimasti coinvolti giornalisti, dirigenti sportivi, funzionari e chiunque possa servire a Doha. L’elenco di coloro che si sono scottati dopo essersi messi a disposizione non certo gratuitamente degli emiri di Doha è lunghissimo ma i soldi comprano anche la vergogna per un arresto.
Il caso Menendez
A chi non piacciono i lingotti d’oro, gli orologi di lusso, i voli in first class, gli hotel 5 stelle, le macchine sportive e i biglietti per le grandi manifestazioni sportive, ad esempio le gare di Formula Uno? E chi non vorrebbe avere in cantina mezzo milione di euro in contanti per le spese di tutti i giorni e per lo shopping dei familiari e tutto questo gratis? Non è certo roba da tutti, soprattutto se onestamente, ed è il caso del Senatore Democratico Robert (Bob) Menendez, un tempo influente presidente del Comitato per le relazioni estere del Senato. Anche sua moglie, Nadine Arslanian Menendez, è accusata di corruzione, ma il suo processo è stato rinviato per consentirle di ricevere cure per il cancro al seno e si è dichiarata non colpevole tuttavia, gli avvocati del marito avevano inizialmente tentato di scaricare la colpa sulla signora Menendez, dipingendola «come una persona in difficoltà finanziarie che sperava di ottenere denaro e beni in qualsiasi modo possibile». Il senatore Bob Menendez era già stato al centro di accuse federali di corruzione prima di questo recente scandalo. Menendez ha rassegnato le dimissioni dal suo prestigioso incarico lo scorso 23 luglio pochi giorni dopo che una giuria federale lo ha giudicato colpevole e lo ha rinviato a giudizio per aver ricevuto tangenti e aver sfruttato la sua influenza per garantirsi un accordo di investimento multimilionario con il Qatar. Se il prossimo 28 ottobre (data dell’inizio del processo a suo carico) queste accuse troveranno conferma, il Senatore democratico che, nonostante l’enorme mole di prove contro di lui e sua moglie continua a negare le accuse, rischia 222 anni di carcere. Il Dipartimento di Giustizia non ha mosso accuse nei confronti di cittadini qatarini, nonostante il coinvolgimento di Doha nella vicenda. Questo episodio rappresenta un ulteriore esempio dell’influenza esercitata dagli stati ricchi di petrolio e corrotti su Washington e nel resto del mondo. L’atto d’accusa presentato a gennaio contro Menendez e i suoi coimputati sostiene che il senatore abbia ricevuto tangenti da Fred Daibes, un promotore immobiliare del New Jersey. In cambio, Daibes si aspettava che Menendez «inducesse una società di investimento qatariota legata alla famiglia reale a collaborare con lui, compresa l’adozione di misure favorevoli al governo del Qatar». Una di queste azioni è stata un comunicato stampa redatto dall’ufficio di Menendez che lodava i qatarioti come «esempi di moralità» per aver ospitato i rifugiati afghani dopo il fallito ritiro degli Stati Uniti dall’Afghanistan. Il mese successivo, i procuratori hanno provato che Menendez e Daibes hanno preso parte a una cena privata organizzata dal governo del Qatar. Poco dopo, Menendez ha ricevuto un messaggio da Daibes contenente immagini di orologi di lusso del valore di oltre 23.000 dollari, accompagnato da cinque parole: «Che ne dici di uno di questi?». Successivamente, una perquisizione autorizzata dal tribunale nella casa di Menendez ha portato alla luce non meno di 11 lingotti d’oro con numeri di serie che «indicavano che erano stati precedentemente posseduti da Daibes», così come buste piene di decine di migliaia di dollari in contanti su cui erano impresse le impronte digitali del magnate. Al processo Daibes non ha negato di aver dato a Menendez oro e contanti, ma ha detto che erano «regali». Daibes è stato dichiarato colpevole di tutte le accuse insieme a Menendez e il miliardario potrebbe non essere stato l’unico canale per la generosità del Qatar. Infatti, secondo l’atto d’accusa, il Senatore democratico «ha continuato a ricevere cose di valore dai qatarini, tra cui i biglietti per il Gran Premio di Formula Uno del 2023 a Miami, anche dopo aver ottenuto l’accordo di investimento». Bob Menendez si è anche recato in Qatar per assistere alla Coppa del Mondo del 2022 e, in un’intervista a dir poco surreale, ha dichiarato all’agenzia di stampa statale: «Il Qatar ha unito la comunità globale come una sola; nel mio periodo qui ho visto grandi risultati in termini di giustizia e sicurezza». Poi è arrivato addirittura a lodare l’Emirato per gli inesistenti progressi compiuti dal Qatar nello sviluppo dei diritti dei lavoratori proprio mentre Doha stava affrontando accuse per aver sfruttato i lavoratori migranti, costringendoli a lavorare per ore sotto il sole del deserto, a volte senza stipendio, per costruire stadi in tempo per la Coppa del Mondo del 2022.
Il Qatar e l’Italia
Dalla moda all’edilizia, dai trasporti alle società energetiche, fino agli hotel di lusso, alle moschee e alle strutture sanitarie. L’elenco delle imprese italiane che, nel corso di pochi anni, sono state acquistate dal Qatar Investment Authority (QIA) è lunghissimo. Lo scorso 21 ottobre l’emiro del Qatar, Tamim bin Hamad Al Thani, è arrivato a Roma per una visita di Stato di due giorni. Questo viaggio sottolinea gli ottimi rapporti diplomatici tra i due Paesi e durante la visita, l’emiro Al Thani ha incontrato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Italia e Qatar hanno rapporti bilaterali in diversi settori, tra cui investimenti, energia (con particolare attenzione ai mercati del gas e alle fonti rinnovabili), difesa e collaborazione militare. Ora i due Paesi stanno anche esplorando nuove opportunità nei settori della sicurezza alimentare, biotecnologie, scienze della vita e gestione urbana. Dal 29 al 31 ottobre, l’Agenzia ICE (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane) parteciperà a Milipol Qatar, un evento dedicato ai professionisti della sicurezza e della protezione territoriale. Quindi altri affari sull’asse Roma-Doha mentre Sheikha Moza bint Nasser, madre dell’emiro del Qatar Sheikh Tamim bin Hamad Al Thani, ha elogiato il leader di Hamas assassinato Yahya Sinwar in un post su X, poco dopo che Sinwar era stato ucciso dalle forze israeliane operanti a Gaza: «Il nome Yahya significa ‘colui che vive’. Lo pensavano morto, ma lui vive. Come il suo omonimo, Yahya bin Zakariya, lui continuerà a vivere e loro se ne saranno andati». È questo il vero volto del Qatar che ha le mani sporche di sangue delle vittime del 7 ottobre 2023 e anche i politici italiani dovrebbero rendersene conto ma forse è chiedere troppo.