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LE DONNE ALLA GOGNA MEDIATICA DEI TERRORISTI

LE DONNE ALLA GOGNA MEDIATICA DEI TERRORISTI

Luisa Ciuni

C’è qualcosa di osceno nell’esposizione che Hamas ha fatto delle donne ostaggio liberate. Qualcosa che rimanda agli stupri di tutte le guerre della storia. E vi aggiunge un tratto tipico dell’antisemitismo: l’umiliazione pubblica dell’avversario. 

Gli uomini di Hamas non sono stupidi. Quello che vorrebbero fare alle ragazze è chiaro: violentarle a morte dopo sevizie e umiliazioni di ogni genere durate giorni e giorni. Sfregiarle, rovinarle, devastarle, specie le soldatesse, quelle donne che hanno rotto uno degli ultimi tabù andando in guerra contro di loro, nemici e maschi. Hanno osato sfidarli, quindi non c’è limite alla punizione cui sottoporre queste infedeli. Peccato non potere essere Boko Haram.

Ma i miliziani comprendono anche di non potere trascendere, perché perderebbero il favore dell’opinione pubblica che ancora non ha chiara la loro assoluta misoginia, il disprezzo per le donne come per i gay o i transgender. Capiscono che dopo circa 500 giorni di sequestro devono fornire ai media occidentali ragazze in discrete condizioni, pulite, vestite degnamente e non di stracci, non troppe magre. Per dimostrarsi solo carcerieri costretti alla guerra, non terroristi e torturatori di civili.

Così hanno preparato le giovani, addirittura impinzandole di cibo prima della liberazione dopo mesi di fame. Una messinscena che pochi hanno voluto o saputo mettere in dubbio. E i reperti dei medici che parlano di ben altro non hanno avuto alcuna eco.

Sorridono gli uomini di Hamas, perché sanno bene che quanto è successo nei tunnel (abusi sessuali e sevizie si sono susseguiti in tutti questi mesi nella certezza dell’immunità) non sarà creduto da gran parte degli occidentali (del resto quanti credettero subito alla Shoah?) grazie alla loro macchina di propaganda. E, nell’impossibilità dell’annientamento fisico delle sequestrate, hanno studiato un nuovo abuso che non consenta alle rapite di uscire velocemente dall’incubo. Vale a dire la gogna, uno stupro virtuale davanti ai gazawi e al mondo, un supplizio forse peggiore di una violenza carnale. L’esposizione dei corpi delle donne – coperte per carità – al pubblico ludibrio da un palco montato apposta, circondato dalla folla plaudente che urla, fischia, inneggia alla vittoria. Che il popolo veda bene chi ha vinto e che fine fanno un certo di tipo di donne 

Gli spettatori esultanti passano ai raggi X quelle giovani costrette alle forche caudine che hanno sotto il braccio l’insultante tragica busta-regalo dei souvenir di Gaza con le foto da ostaggio e l’attestato di liberazione: l’ultima presa in giro. In realtà un’abiezione che sarebbe piaciuta a Heydrich o a Eichmann, specialisti nel distruggere il morale degli ebrei per minarne la resistenza e poi devastarne il fisico.

Poi le giovani scompaiono, vanno in mano a una Croce Rossa non certo protettiva nei loro riguardi, indi negli ospedali e dalle famiglie.

Una pagina di raro sadismo si chiude, i traumi verranno rielaborati a casa, come quello della ragazza che, dopo mesi di isolamento e sevizie, chiede alle compagne appena incontrate se <sono vive>.

L’unica incrinatura in questa indegna rappresentazione, l’elemento che ha destato qualche dubbio anche fra le persone nutrite da propaganda Pro-pal è quella di Arbel Yehud. 

Perché anche la migliore propaganda ha delle smagliature e l’immagine della ragazza terrorizzata, vilipesa, sballottata fra miliziani abili a tutto tranne che a riparlarla dalle intemperanze della folla e di consegnarla alla Croce Rossa ha fatto il giro del mondo.

Sul video è apparsa una donna spaventata, dagli occhi pieni di paura che cercava rifugio nel proprio parka, non sapendo se stesse per essere rilasciata, linciata o magari lapidata né se si poteva fidare di quella scorta di uomini che di tutto sembrava capace, tranne che di difenderla.

La paura di Arbel e lo scherno di cui era circondata hanno ricordato a molti alcune immagini della Seconda guerra mondiale coi civili ebrei spaventati e sotto tiro. Per la sua fragilità, per il suo terrore, per l’inutile aggressività degli uomini che la circondavano, Arbel è apparsa quello che è: la vittima di quasi 500 giorni di sequestro, isolamento e vuoto di notizie. Un frammento di verità nello stillicidio dei rilasci annunciati come una concessione da un Hamas che si comporta e viene descritto come il vincitore della guerra.

Chi sa poco delle dinamiche israeliane e della trattativa che ha portato a questa tregua-stillicidio, per giorni e giorni ha visto il giubilo di un popolo che ha esposto su un palco donne dall’aria forte e determinata, desiderose di non esibire la propria tragedia. Poi è arrivata lei con i suoi occhi disperati nel volto espressivo a fare capire al mondo la propria tragedia, l’odio di Hamas per i sequestrati, le donne, gli ebrei. Ha rotto il tetto di cristallo, è stata qualificata come vittima.

Poco importa invece degli ostaggi deceduti, dei bambini scomparsi, di chi attende la liberazione in giornate che non passano mai. Più che una tregua, una tortura.