PERCHÉ DA NON EBREO INDOSSO LA KIPPAH
Carmelo Palma
Da alcune settimane indosso quotidianamente la kippah e lo farò ancora per un po’ di tempo in ogni luogo pubblico. Per strada, sulla metropolitana, al ristorante, al supermercato, all’ufficio postale… La tolgo solo in casa e in ufficio, dove non devo sembrare un ebreo ignoto e sono ovviamente un noto non ebreo, che ha però deciso di indossare la kippah laddove può essere confuso con un vero ebreo. Cioè dove nessuno mi conosce.
Perché l’ho fatto? L’ho spiegato in una conferenza stampa alla comunità ebraica di Milano lo scorso 2 aprile con i miei compagni di avventura, l’ex parlamentare radicale Lorenzo Strik Lievers e il coordinatore di Europa Radicale, Igor Boni (qui l’articolo su Linkiesta).
Vogliamo apparire ebrei perché esserlo, e ancora di più sembrarlo, è oggettivamente pericoloso e quindi la forma più personale di solidarietà nonviolenta, la protesta più concreta contro l’antisemitismo riabilitato a quasi piena legittimità sociale, proprio dopo il 7 ottobre, è quella di condividere gli stessi pericoli che corrono gli ebrei quando sono riconosciuti come tali, anche se non portano la kippah.
Il pericolo – sia chiaro – significa violenza. La violenza degli sguardi, dei giudizi, degli insulti, degli sputi, delle botte, cioè di tutto il repertorio di gesti in cui il pregiudizio e l’odio antisemita passa dalle parole ai fatti.
Come tutti gli odi e i pregiudizi, anche quello antisemita quanto più è fanatico e irriflesso, tanto più si sente giustificato da ragioni inoppugnabili. Oggi, a giustificarlo, sarebbe la condotta del Governo israeliano nella guerra di Gaza, che si può considerare più o meno censurabile per i modi, ma che, dal primo minuto dopo il 7 ottobre, è stata immediatamente qualificata come “genocidio” proprio perché considerata, in sé, la reazione illegittima di uno stato illegittimo a un legittimo atto di resistenza di una nazione occupata.
La trappola dell’antisemitismo contemporaneo è questa: lo si considera, anche se ingiusto, in qualche modo giustificato dal fatto che Israele… (aggiungere dopo i puntini una qualunque conclusione, a piacimento). A quelli che “capiscono”, ma, per carità, mica condividono che un ebreo venga insultato o picchiato per strada perché Netanyahu ha fatto o detto qualcosa, non capiterebbe affatto di “capire” che venga picchiato per strada un qualunque poveretto eletto a rappresentante indiretto di un potere sgradito o censurabile, neppure se totalitario. Con gli ebrei invece si capisce, si capisce sempre qualunque violenza, anche se, per carità, non la si condivide.
Non sono così ingenuo da non vedere che lo scontro politico-istituzionale in Israele ha per molti aspetti superato il livello di guardia e non sono affatto un sostenitore del governo Netanyahu e della sua maggioranza. Lo dico perché si sappia, anche su questo, come la penso. Ma l’antisemitismo che fa insultare e aggredire i vecchi ebrei davanti alla comunità ebraica a Milano o schiaffeggiare i bambini ebrei nelle strade di Roma non ha niente a che fare con tutto questo. C’era prima e ci sarà dopo. Bisognerà continuare a farci i conti come una malattia cronica, recidivante e potenzialmente mortale della civiltà europea (e non solo europea), ora rinfocolata dal fanatismo islamista. L’importante è non considerare mai l’antisemitismo la conseguenza di qualcosa, ma sempre e solo la causa originaria dell’odio che colpisce gli ebrei non perché hanno fatto qualcosa, ma semplicemente perché sono ebrei.