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SETTEOTTOBRE: L’ESPRIT DU TEMPS – Luigi Maccotta

SETTEOTTOBRE
L’ESPRIT DU TEMPS

Tra poco sarà un anno dal pogrom con cui Hamas ha dichiarato guerra a Israele e all’Occidente. L’Associazione Setteottobre, nata in Italia per combattere l’antisemitismo risorgente nelle nostre società, ha deciso di avviare una riflessione su che cosa è cambiato, dopo il 7 ottobre del 2023, nelle nostre vite individuali e nella vita collettiva.


Luigi Maccotta

Il 7 ottobre e la legittima risposta di Israele, al di là del dolore e dell’orrore che tutte le guerre suscitano, hanno sconvolto narrative e prospettive. Hamas ha messo a segno molti punti nella guerra di propaganda, sacrificando cinicamente e criminalmente, le vite dei gazawi e degli israeliani. Haniyeh aveva peraltro macabramente annunciato che il sangue dei palestinesi era parte integrante della lotta all’”entità sionista”.

E così nell’opinione pubblica una crudele organizzazione terroristica passa per nobile movimento di liberazione nazionale, mentre un governo democraticamente eletto diventa colpevole di genocidio. Ecco che Israele viene equiparato al Reich nazista e la cattiva coscienza del mondo per la Shoah viene se non del tutto cancellata ma fortemente ridimensionata. La confusione regna sovrana perfino nei templi del sapere, le Università, l’odio antisemita viene spacciato per sostegno ai palestinesi, assurti al simbolo dell’anticolonialismo e antioccidentalismo. E la quantità dei morti palestinesi ha avuto la meglio sul più esiguo numero di decessi israeliani: 1300 il 7 ottobre senza contare 700 soldati di Tsahal caduti in azione e un numero imprecisato di ostaggi sommariamente trucidati. La contabilità predomina sulla complessità, anche se la drammatica vicenda del giovane Hersh Goldberg-Polin scuote animi e coscienze.

Questo conflitto, così lungo da non immaginare come e quando finirà, lo seguiamo con l’illusione di sapere tutto, di poter pontificare, mentre non conosciamo veramente la situazione sul terreno strategico.

Il quadro che ha provocato il 7 ottobre non è comunque nuovo, si è solo gonfiato a dismisura. Ha un antecedente nelle reazioni sdegnate di fronte al massacro di Sabra e Chatila, nel 1982 a opera delle Falangi libanesi non ostacolato da Sharon. Difficile fare i conti con un popolo ebraico forte e determinato a difendersi “sicuro di sé, di élite e dominatore” come lo definì De Gaulle nel 1967 con ammirazione mista a riprovazione.

L’antisemitismo è oggi dilagante, è quello messo a fuoco dalla Definizione di lavoro dell’IHRA del 2016, un testo molto attuale, asciutto, preciso nell’elencare alcune tipologie di antisemitismo, omettendone diplomaticamente altre.

Israele dalla sua fondazione ha fatto inauditi progressi militarmente, economicamente, tecnologicamente, forse non moralmente e politicamente, ma come si misura l’etica di un paese in guerra perennemente minacciato di distruzione? Allora il popolo ebraico, votato per destino metastorico a essere il sale della terra, il portatore del giogo dell’elezione divina, dovrebbe concentrasi sul suo compito spirituale: essere un faro per le Nazioni, proseguire nell’opera sisifica della riparazione del mondo come partner del Creatore e abbandonare ogni pretesa di avere uno Stato, di essere normale?

Certamente non si può ridurre Israele alle sue tante guerre, finora sempre vinte senza vincere la pace per assenza di interlocutori disposti a riconoscerne il diritto all’esistenza, almeno in campo palestinese, perché non sono pochi gli Stati nelle regione che lo hanno fatto. Ma con i palestinesi è più arduo, forse perché vengono regolarmente sfruttati e manipolati dagli odiatori di turno. Un vero amico dei palestinesi, un pro-pal lungimirante e sincero nel volere il loro bene, dovrebbe incitarli a riconoscere l’esistenza di Israele, a smetterla di sognarne la sua cancellazione, a considerare gli aspetti positivi di una convivenza e collaborazione.

Non si deve ridurre Israele al governo di turno, perché i governi possono sbagliare e in democrazia si possono mandare a casa.

Israele è molto di più: è una civiltà, è creatività, innovazione, talenti, è la Tora e il Talmud, purtroppo male interpretata dagli stessi fondamentalisti ed integralisti ebraici.

Il 7 ottobre Israele è stato ferito e le sue numerose ferite passate si sono tutte riaperte. Il mondo non ha favorito la cicatrizzazione e pretende proporzionalità e ragionevolezza nella reazione all’attacco, senza precisare bene come si possa far quadrare questo strano cerchio quando si ha a che fare con tipacci come Sinwar.

Vorrei poter credere che dal male nasca il bene, che dopo un diluvio di sangue e fuoco si ergerà l’arca di una nuova Alleanza.

Questo doveva essere l’insegnamento dell’Olocausto, la garanzia del “mai più”. Ora tutto è in salita ma Israele ha nel suo patrimonio di civiltà i geni della rinascita.

I seguiti del 7 ottobre e gli errori commessi dal governo di Netanyahu non hanno scalfito il mio amore e la mia fiducia nel popolo ebraico. Sono certo che ce la farà e ne uscirà a testa alta e vincitore, fosse solo contro sé stesso e i suoi demoni. Ma soffro per il prezzo da pagare, per il carico di odio che circola nelle vene dell’informazione globale, per il biasimo che renderà ammissibile, seppure in malafede, la facile condanna, ma tanto sono due secoli che va avanti perché fa comodo e ci risparmia lo sforzo di capire.  


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