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SETTEOTTOBRE: L’ESPRIT DU TEMPS – Marco Paganoni

L’ESPRIT DU TEMPS

Tra poco sarà un anno dal pogrom con cui Hamas ha dichiarato guerra a Israele e all’Occidente. L’Associazione Setteottobre, nata in Italia per combattere l’antisemitismo risorgente nelle nostre società, ha deciso di avviare una riflessione su che cosa è cambiato, dopo il 7 ottobre del 2023, nelle nostre vite individuali e nella vita collettiva.


Marco Paganoni

La Corte di Giustizia Internazionale (un ente tutt’altro che amichevole verso Israele, come quasi tutti gli organismi Onu) non ha mai affermato che Israele sta commettendo un genocidio.

Anzi, come ha chiarito la sua presidente Joan Donoghue in un’intervista alla BBC del 26 aprile 2024, non ha mai nemmeno stabilito che l’accusa fosse “plausibile” (“It didn’t decide that the claim of genocide was plausible”). Tutti coloro – e sono tanti – che vanno in giro a dire il contrario diffondono un’abietta menzogna.

Cosa ha detto, invece, la Corte di Giustizia Internazionale nella sua ordinanza del 26 gennaio 2024? “La Corte esprime grave preoccupazione per la sorte degli ostaggi rapiti durante l’attacco in Israele del 7 ottobre 2023 e da allora detenuti da Hamas e altri gruppi armati e chiede il loro rilascio immediato e incondizionato“.

Il 28 marzo la Corte di Giustizia Internazionale ha ribadito la stessa delibera: rilascio immediato e incondizionato.

Immediato significa tutti e subito. Adesso. Ora. Significa che il rilascio dovrebbe essere già avvenuto. Invece, è passato un anno.

Incondizionato significa senza ricatti, senza stare a discutere di tregue, ritiri delle forze israeliane, scarcerazione di terroristi. Incondizionato, cioè senza porre né pretendere condizioni, significa non negoziabile: per cui, a rigore, non dovrebbe nemmeno essere in corso un negoziato per il rilascio degli ostaggi.

La Corte, benché tutt’altro che amichevole verso Israele, ha ragione due volte.

In primo luogo, perché il rilascio immediato e incondizionato di tutti gli ostaggi è eticamente e giuridicamente imperativo e imprescindibile: qualunque cosa di meno (come questionare su cosa Israele dovrebbe “cedere in cambio”) è un’infamia. Che gli israeliani siano costretti a trattare è comprensibile. Che il resto del mondo regga il ricatto dei delinquenti sequestratori è intollerabile. Ogni giorno che passa con gli ostaggi ancora nelle mani dei loro aguzzini è un nuovo crimine contro l’umanità.

In secondo luogo, perché tutti sappiamo che il rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi avrebbe evitato ogni conseguenza: guerra, morti, feriti, sfollati, sofferenze, escalation.

In un mondo civile e moralmente sano, questa semplice verità verrebbe ribadita ogni giorno da Onu, UN Women, Croce Rossa, Amnesty International, Human Rights Watch, autorità religiose, accademici, studenti, manifestanti, vip, star, giornalisti, opinionisti, teatranti e vignettisti vari.

Invece li vediamo tutti impegnati – quando va bene – a prodursi in prediche e pressioni su Israele. Quando va peggio, a diffamarlo con calunnie demenziali (come l’ineffabile special rapporteur Francesca Albanese che accusa Israele di commettere “domicidio, urbicidio, scolasticidio, medicidio, genocidio culturale ed ecocidio”: manca solo il deicidio, probabilmente una svista).

Dunque, quello che abbiamo scoperto in questo anno dal 7 ottobre a oggi è che viviamo in un mondo incivile e malato.

E l’unica reazione che ci pare ragionevole è quella che abbiamo letto su un cartello issato da un anonimo contro-manifestante davanti a un’occupazione sedicente “pro-pal” alla University of Southern California. C’era scritto: “Restituite i nostri ostaggi e chiudete quella cazzo di bocca”.


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