VOGLIONO ESPORTARE L’INTIFADA
Giancarlo Giojelli
L’ Intifada evoca lotte di liberazione, guerra al capitalismo, all’Occidente, mobilita, aggrega: nel crollo delle ideologie è un buon sostituto del comunismo eretto a simbolo di giustizia sociale contro l’oppressione e il colonialismo. È uno slogan che piace, immortalata nel murales di Banskj del ragazzo che invece delle pietre lancia un mazzo di fiori. In realtà Intifida vuol dire sommossa, rivolta e nasce come messaggio di guerra rivolto non solo ai palestinesi ma alla Umma, la comunità globale dei fedeli islamici, al nemico sionista, al mondo intero: “Chiunque è un feddayn; sionisti attenti, non siete più sicuri nei confini di Israele; il mondo si mobiliti”. Gli effetti, in termini di vittime violenze distruzioni e di risultati reali si sono visti: molti i morti, la road map verso il processo di pace in Medio Oriente e’ ormai ad un punto fermo.
L’ Intifada nasce nel 1987 a Gaza e si estende in fretta a tutta la Cisgiordania, ovunque attacchi contro i soldati israeliani. Per i palestinesi chi muore negli scontri è un martire.”Amiamo la morte più di quanto voi amiate la vita” gridano i nuovi feddayn.
In cinque anni i palestinesi uccidono 160 israeliani e 1000 arabi accusati di collaborazionismo. 1100 i morti tra i palestinesi nella risposta dell’esercito israeliano.
La tregua dopo gli accordi di Oslo dura poco. Nel 2000 Il generale Sharon cammina su quella che per i musulmani è la spianata delle Moschee e per gli ebrei il Monte del Tempio. Una scintilla ed è la seconda Intifada, nutrita di Islam radicale: i kamikaze si fanno esplodere nei mercati, sugli autobus. Le loro famiglie vengono ricompensate e si onorano dei figli martiri. Israele abbatte le case dei terroristi ed erige muri. In sei anni di attentati si contano mille morti tra i civili israeliani e 4000 morti palestinesi nei raid dell’ esercito. Poi l’Intifada diventa un franchising: ogni giorno per venti anni accoltellamenti e investimenti con auto contro civili nelle città e soldati di pattuglia. Israele risponde con raid nei campi. Sono più di quattromila le vittime in una guerra ‘a bassa intensità’.
Il fondamentalismo ha raggiunto il suo scopo, alimenta l’antisionismo e se ne nutre. Messaggio che mobilita le università dell’Occidente: lo ha detto chiaramente uno dei più noti docenti universitari iraniani, Fouad Izadi, laureato a Houston in comunicazioni di massa e insegnante a Tehran, parlando al canale Ofogh Tv, che trasmette dall’Iran in diverse lingue: “Gli universitari sono il nostro popolo, sostengono l’Iran, senza il quale la causa palestinese sarebbe scomparsa, si può ripetere in America quello che abbiamo fatto in Libano ma in scala molto più grande”. Parole che dovrebbero far riflettere chi già evoca la retorica ‘fragole e sangue’ della “Intifada delle Università”.