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VINCA LA STORIA NON LA PROPAGANDA #1

VINCA LA STORIA

NON LA PROPAGANDA

“Dopotutto, cosa mai possono sapere, quei figli, della catastrofe dell’antisemitismo europeo? Certo non saranno le famiglie, né queste scuole, né questi talkshow a spiegargliela.”

E’ l’amara riflessione dello storico Paolo Macry consegnata qualche giorno fa a questo “magazine” sui giovani che occupano i licei e le università inneggiando all’intifada palestinese infilandosi, anche forse inconsapevolmente, nel tunnel di un neo antisemitismo. La protesta di un movimento che nonostante parta dalla scuola è poverissimo di storia e carico di propaganda anti israeliana e anti occidentale in un indistinto di vittime e carnefici.

Massimo Longo Adorno, ripercorre gli anni e le radici dell’intifada arabo-palestinese con il rigore della ricerca storica; l’associazione “setteottobre” propone, in due puntate, il lavoro con la speranza che la propaganda non vinca sulla storia.

Intifada. Parole e accezioni che richiamano violenza

Massimo Longo Adorno

Il termine intifā’ḍah vuol dire letteralmente in arabo “scuotimento, sollevazione, liberazione dagli insetti e dai parassiti che infestano il corpo umano”. Questo termine venne utilizzato con una chiara connotazione politica per la prima volta dal Gran Mufti di Gerusalemme, Haj Hamin al-Husseini, padre del nazionalismo arabo-palestinese per definire la grande rivolta araba che infuriò nella Palestina sotto mandato britannico dal 1936 al 1939, provocando oltre 5 mila morti tra gli arabi, oltre 300 tra gli ebrei e 262 tra gli inglesi. Il motivo scatenante di questa rivolta fu la voce diffusa ad arte dal Gran Mufti, in base alla quale gli ebrei si sarebbero apprestati a distruggere la Moschea di al-Aqsa a Gerusalemme per edificarvi al suo posto il terzo tempio.

L’uso strumentale della menzogna sta alla base anche delle due successive intifadeche hanno riempito le cronache e i notiziari a cavallo tra la fine del XX secolo e l’inizio del XXI, le cosiddette prima e seconda Intifada, che andiamo di seguito ad analizzare.

Prima Intifada (1987-1993)

Come nel caso degli eventi del 1936-1939, false accuse di atrocità israeliane, unite a istigazioni provenienti dalle moschee giocarono un ruolo importante nello scoppio della prima Intifada.

Il 6 dicembre 1987, un cittadino israeliano venne pugnalato a morte mentre stava facendo acquisti in un negozio di Gaza. Il giorno successivo, quattro residenti nel campo profughi di Jabalya, nella parte settentrionale della Striscia di Gaza, rimasero uccisi in un incidente stradale causato da un camionista israeliano.

Voci che non si fosse trattato di un incidente, ma di un deliberato atto di rivincita da parte israeliana per vendicare l’omicidio del 6 dicembre, iniziarono a diffondersi senza controllo tra la popolazione araba, incitata incessantemente dalla propaganda che si diffondeva dalle moschee. La mattina dell’8 dicembre, tumulti scoppiarono nel campo profughi di Jabalya durante i funerali dei quattro. Nel corso dei disordini, un 17enne palestinese rimase ucciso dopo aver lanciato una bottiglia Molotov contro una pattuglia dell’esercito. I disordini si estesero rapidamente attraverso tutta la Striscia di Gaza, la Giudea, la Samaria e la parte orientale di Gerusalemme. Lanci di pietre, blocchi stradali e incendi di pneumatici furono i primi mezzi utilizzati dai manifestanti nel corso della prima settimana di disordini. Per il 12 dicembre si arrivava già a 12 morti e altre 30 feriti. Il 13 dicembre, una bottiglia Molotov venne lanciata contro il consolato americano, sito nella parte orientale di Gerusalemme, senza causare grossi danni.

La propaganda islamista diffusa nelle moschee sparse la voce che i giovani palestinesi feriti negli scontri venissero catturati dall’esercito israeliano e portati in un ospedale militare fuori Tel-Aviv dove venivano giustiziati sommariamente. Altre voci messe in giro per alimentare la tensione affermavano che l’esercito israeliano aveva deliberatamente avvelenato le falde acquifere di Gaza. Le Nazioni Unite smentirono categoricamente la veridicità di tali accuse. I feriti palestinesi più gravi venivano curati negli ospedali israeliani al di fuori della Striscia, mentre un esame accurato delle condizioni delle falde acquifere a Gaza non rilevò assolutamente nulla di anomalo.

In ogni caso, la prima Intifada fu violenta sin dall’inizio. Solamente durante il primo anno della rivolta, dal dicembre 1987 al dicembre 1988, furono registrati oltre 4 mila attacchi con bottiglie Molotov, 100 attacchi con granate e bombe a mano e oltre 600 attentati con l’impiego di coltelli ed esplosivi vari.

Dal 1987 al 1991, vennero uccisi 16 civili israeliani e 11 soldati; 1.500 civili israeliani e 1.700 soldati israeliani rimasero feriti. Circa 1.100 palestinesi rimasero uccisi negli scontri con le truppe israeliane.

Durante la prima Intifada, l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) giocò un ruolo chiave nell’orchestrazione delle rivolte, la cosiddetta leadership unificata dell’Intifada, che scandiva gli ordini del giorno della violenza e identificava i bersagli da colpire, era di fatto controllata dall’OLP. Parallelamente a questo, però, nacquero e si affermarono durante la prima Intifada due organizzazioni di impronta fondamentalista religiosa il cui obiettivo era quello di sostituirsi all’OLP come futura dirigenza politica palestinese. Tali organizzazioni erano Hamas (costola dei Fratelli Mussulmani in Egitto), nata nel dicembre 1987 a Gaza e che avrebbe diffuso la sua carta politica fondamentale nel marzo del 1988, e la Jihad Islamica Palestinese, finanziata e addestrata esclusivamente dall’Iran, costituitasi a Gaza nel 1986, esattamente un anno prima dello scoppio della prima Intifada.  Gli ebrei non furono le sole vittime della prima Intifada. Nel 1991, ai tempi della prima guerra del Golfo in cui l’OLP era schierata a fianco dell’Iraq di Saddam Hussein, il totale delle vittime arabe uccise dagli squadroni della morte palestinese eccedeva quello dei caduti ad opera dell’esercito israeliano. I palestinesi ritenuti colpevoli di tradimento, di collaborazionismo verso Israele o di insufficiente entusiasmo verso la causa palestinese venivano accoltellati, uccisi con asce e i corpi venivano smembrati e dissolti nell’acido. Le giustificazioni offerte per questi omicidi erano varie. Essere stati impiegati nell’amministrazione civile israeliana in Giudea, Samaria e a Gaza era ritenuto motivo sufficiente per condannare a morte una persona. Aver avuto contatti personali con ebrei equivaleva a una condanna a morte.

Le accuse di collaborazionismo con Israele erano spesso dei meri pretesti per compiere vendette personali.

Le donne accusate di tenere o di aver tenuto “comportamenti immorali”furono tra le vittime principali di questa faida inter-palestinese che prese il nome di Intrafada,per mano principalmente della polizia del costume, gestita da Hamas.

Il terrore diffuso all’interno della società palestinese durante la prima Intifada fu così grave da suscitare scontento in vari settori della società palestinese. Per il 1992 anche l’OLP iniziò a pronunciarsi contro le uccisioni indiscriminate, ma quest’ultime continuarono ad opera delle varie fazioni palestinesi sul campo.

Tra il 1989 e il 1992 oltre mille palestinesi vennero uccisi dagli squadroni della morte dell’OLP e di Hamas. Il risultato ultimo della prima Intifada fu l’annientamento effettivo di qualsiasi embrione di società civile palestinese in grado (almeno potenzialmente) di guardare a un futuro di convivenza regionale con lo Stato di Israele.


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