VINCA LA STORIA
NON LA PROPAGANDA
“Dopotutto, cosa mai possono sapere, quei figli, della catastrofe dell’antisemitismo europeo? Certo non saranno le famiglie, né queste scuole, né questi talkshow a spiegargliela.”
E’ l’amara riflessione dello storico Paolo Macry consegnata qualche giorno fa a questo “magazine” sui giovani che occupano i licei e le università inneggiando all’intifada palestinese infilandosi, anche forse inconsapevolmente, nel tunnel di un neo antisemitismo. La protesta di un movimento che nonostante parta dalla scuola è poverissimo di storia e carico di propaganda anti israeliana e anti occidentale in un indistinto di vittime e carnefici.
Massimo Longo Adorno, ripercorre gli anni e le radici dell’intifada arabo-palestinese con il rigore della ricerca storica; l’associazione “setteottobre” propone, in due puntate, il lavoro con la speranza che la propaganda non vinca sulla storia.
Intifada. Parole e accezioni che richiamano violenza
Massimo Longo Adorno
Seconda Intifada (2000-2005)
Nel settembre del 2000, i Colloqui di Camp David tra il primo ministro israeliano Ehud Barak e il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese Yasser Arafat, leader dell’OLP, fallirono davanti al rifiuto opposto da Arafat di riconoscere la legittimità di Israele in quanto Stato ebraico, in cambio della sovranità sul 99 per cento del territorio di Giudea e Samaria e sulla parte orientale di Gerusalemme, proposta dal primo ministro israeliano Barak. Il 28 settembre 2000, il leader del Likud Ariel Sharon visitò l’area del Monte del Tempio a Gerusalemme che i musulmani chiamano Haram- al Sharif,il terzo luogo sacro dell’Islam.
Durante la visita di Sharon vi furono alcuni tafferugli tra dimostranti arabo-palestinesi e la polizia israeliana, 28 poliziotti israeliani rimasero feriti senza che venisse registrato nessun morto da parte palestinese. Il peggio però sarebbe arrivato nei giorni successivi. Come nel 1936 e nel 1987, la falsa notizia della profanazione della Moschea di al-Aqsa da parte degli ebrei fu la miccia destinata ad appiccare il grande incendio.
La violenza ad opera degli arabi palestinesi era iniziata già prima della visita di Sharon al Monte del Tempio.
Il 27 settembre, un soldato israeliano era stato ucciso vicino all’incrocio di Nitzerim. Nello stesso giorno, nella città palestinese di Qalqilya, un ufficiale della polizia palestinese che operava di concerto con la Guardia di Frontiera israeliana aprì il fuoco sugli israeliani uccidendone due. Il 29 settembre, la Voce della Palestina, l’emittente radio dell’Autorità Nazionale Palestinese, gettava a sua volta benzina sul fuoco, invitando i palestinesi a salire sul Monte del Tempio per difendere la moschea.
Il 30 settembre 2000, alla vigilia di Rosh HaShanà, il Capodanno ebraico, mentre centinaia di ebrei stavano pregando al Muro del Pianto, migliaia di arabi li attaccarono con lanci di pietre e di bottiglie. Gli scontri coinvolsero anche la polizia israeliana e si propagarono rapidamente attraverso Giudea, Samaria e Gaza e tutto il territorio israeliano nel suo insieme, costituendo la più grave insurrezione araba mai avvenuta su quel territorio dal 1936. Prese il nome di Intifada di al-Aqsao seconda Intifada.
Mentre i palestinesi accusavano gli israeliani di profanare i luoghi sacri dell’Islam, furono effettivamente gli arabi palestinesi ad attaccare i luoghi sacri dell’Ebraismo. Nell’ottobre del 2000, una folla di palestinesi distrusse la Tomba di Giuseppe a Nablus, i palestinesi attaccarono gli ebrei che pregavano al Muro del Pianto lanciando pietre, e attaccarono la Tomba di Rachele a Bethlehem con esplosivi e armi automatiche.
La maggior parte degli attacchi palestinesi era coordinata da membri dei Tanzim, la milizia personale di sicurezza di Arafat. Gli attacchi nella prima fase videro un ampio uso di armi automatiche da parte dei palestinesi, oltre a casi di linciaggio di cui furono vittime soldati israeliani a Ramallah.
In una seconda fase che ebbe inizio a partire dal marzo del 2001, i palestinesi iniziarono a colpire Israele utilizzando mortai e missili anticarro trafugati clandestinamente nella Striscia di Gaza.
Ai primi di marzo del 2001 divenne chiaro che i palestinesi avevano violato quelle clausole degli Accordi di Oslo che consentivano l’utilizzazione esclusiva di armi leggere unicamente da parte degli uomini della sicurezza palestinese. Ormai tutte le fazioni palestinesi disponevano non solo di armamenti autonomi, ma anche di canali autonomi dove potersi procurare tali armamenti. A partire dalla fine di febbraio del 2002 l’Autorità Palestinese di Arafat iniziò a rilasciare dalle carceri decine di attivisti di Hamas e della Jihad Islamica che si trovavano in stato di detenzione dopo la campagna suicida sugli autobus del 1996. Questo elemento permise a Hamas e alla Jihad Islamica di ricostruire il proprio apparato militare sul territorio dando vita alla fase più sanguinosa della seconda Intifada. Quella che tra il 2001 e il 2004 venne caratterizzata dagli attentati suicidi, solamente nei dieci giorni che vanno dal 22 maggio al primo giugno 2001, i palestinesi lanciarono più di 70 attacchi culminati nella strage della discoteca Delphinarium a Tel-Aviv, dove morirono 20 persone e altre 90 rimasero ferite.
Complessivamente, dal settembre del 2000 sino alla fine di febbraio del 2002, oltre 300 cittadini israeliani rimasero uccisi da azioni compute da terroristi palestinesi. Azioni prevalentemente suicide. Dopo la strage della discoteca Delphinarium a Tel-Aviv del giugno 2001, un altro gravissimo attentato, la strage alla Pizzeria Barro a Gerusalemme nell’agosto del 2001, traumatizzò il Paese. In quella strage, 15 persone, per lo più ragazzi, rimasero uccise sul posto. Entrambe le stragi erano state opera di Hamas. Arafat ordinò una pausa nelle attività terroristiche dopo gli eventi del settembre, ma la fase più sanguinosa della seconda Intifada doveva ancora venire.
Nel marzo del 2002, quello che in Israele passò alla storia come il“marzo nero”,Hamas sferrò una nuova serie di attacchi. Nel corso di quel mese in Israele si ebbero 15 attentati suicidi (la media di uno al giorno) che costarono la vita a 130 israeliani. Il culmine dell’orrore arrivò la sera del 27 marzo 2002 (vigilia di Pesach), quando un attentatore suicida di Hamas si fece esplodere all’interno del Park Hotel di Netanya uccidendo 30 persone e ferendone 150. L’attentato rivendicato e compiuto da Hamas venne elogiato dall’Autorità Nazionale Palestinese. La strage del Park Hotel segnò il culmine dell’offensiva terroristica islamista nella seconda Intifada e contemporaneamente l’inizio della controffensiva israeliana che si concretizzò dapprima nell’operazione “Muro di Difesa”. volta a riconquistare militarmente i Territori di Giudea e Samaria che in base agli Accordi di Oslo erano stati affidati alla giurisdizione dell’Autorità Nazionale Palestinese, e successivamente a isolare Arafat nel suo quartier generale di Ramallah e a colpire i vertici politico-militari di Hamas a Gaza. Questo complesso di operazioni si protrasse per tutto il 2003 e il 2004, portando all’eliminazione tra gli altri del leader fondatore di Hamas Ahmed Yassin e del suo successore Abdel Aziz al-Rantisi. La morte di questi personaggi, unitamente a quella di Arafat avvenuta alla fine del 2004, posero praticamente fine alla seconda Intifada, che terminò praticamente nell’estate del 2005 dopo il ritiro unilaterale da Gaza, deciso da Ariel Sharon (primo ministro di Israele dal 2001) e il conseguente smantellamento degli insediamenti ebraici ivi presenti.
L’eredità della seconda Intifada è pesantissima. Oltre al bilancio dei morti e dei feriti, il più pesante prima degli orrori del 7 ottobre 2023, essa segnò politicamente da parte israeliana un forte rafforzamento di coloro che dubitano della volontà degli arabi palestinesi e del movimento nazionalista arabo palestinese di voler giungere a un accordo di compromesso con Israele. Da parte palestinese, viceversa, essa segnò un rafforzamento di Hamas e delle componenti jihadistico- integraliste legate all’Iran che non faranno altro che rinforzarsi negli anni successivi, con l’assunzione diretta del potere da parte di Hamas nel 2007, primo passo verso la tragedia del 7 ottobre di cui siamo stati tutti spettatori. Una breve tabella delle vittime della seconda Intifada non può non far riflettere anche in prospettiva attuale.
Dal settembre 2000 all’agosto 2005, su una popolazione di 13 milioni di abitanti, 787 civili israeliani rimasero uccisi e 5.619 feriti; 331 soldati israeliani vennero uccisi e 2.484 feriti, per un totale complessivo di 1.118 morti e 8.103 feriti. Sul territorio metropolitano israeliano, dentro i confini della così detta Linea Verde, quella antecedente alla guerra dei Sei Giorni, vennero registrati 1.218 attacchi, nella Striscia di Gaza 15.525, in Giudea e Samaria 8.601, per un totale complessivo di 25.344 attacchi.
In sintesi, qui seguito il bilancio complessivo delle vittime:
397 civili israeliani sono rimasti uccisi da attentatori suicidi
98 civili israeliani sono stati uccisi da armi da fuoco
69 sono caduti in imboscate mortali contro i loro veicoli
28 sono rimati uccisi da fuoco proveniente da veicoli
24 sono stati uccisi da bombe
17 sono stati linciati
16 sono rimasti uccisi da fuoco proveniente da villaggi o da insediamenti urbani
15 sono morti nell’esplosione di autobombe
6 sono stati uccisi a seguito di accoltellamenti
3 sono stati uccisi da colpi di mortaio
2 sono stati uccisi a colpi di pietra
1 è stato ucciso da un veicolo che gli è passato sopra
107 soldati israeliani sono stati uccisi da armi da fuoco
48 sono rimasti uccisi da attentatori suicidi
38 sono morti nell’esplosione di bombe
26 sono rimasti uccisi da attacchi ad installazioni militari
23 sono stati uccisi da autobombe
13 sono stati colpiti mortalmente da fuoco proveniente da villaggi o da insediamenti urbani
11 sono rimasti uccisi dal lancio di missili anticarro
9 sono stati uccisi da fuoco proveniente da veicoli
7 sono rimasti uccisi da veicoli che gli sono passati sopra
4 sono morti per cause non accertate
2 sono stati linciati
un soldato è morto per un colpo di mortaio.
Quando si parla di intifada è bene non scordare che dietro questo termine esiste una lunga storia fatta di lacrime, sangue e violenza che sarebbe opportuno, anzi necessario, evitare di celebrare.
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