QUESTO NEGOZIO È ARIANO
Daniele Scalise
Nel leggere la corrucciata richiesta di un gruppetto soci e clienti di Unicoop Firenze di boicottare i prodotti israeliani riecheggia nell’aria il dannunziano ‘buon sangue non mente’ e scorre lungo la schiena un brivido al pensiero di essere a un passo dall’esibizione dei fascistissimi annunci di ‘questo negozio è ariano’, inalberati tra l’indifferenza compiaciuta di tanti italiani-brava-gente. Ora i nipotini premono perché una delle più grandi cooperative di consumo per giro d’affari operanti nel nostro Paese bandisca ogni prodotto made in Israel dai propri banchi. Sinagoghe (e chiese) incendiate nel Daghestan, ragazzine ebree stuprate nella studentesca Nanterre, un’articolata e permanente campagna di diffamazione vidimata da quel tetro gigante noto come Nazioni Unite (lo disse già nel 1955 Ben Gurion in un ebraico beffardo: ‘UM SHMUM, l’Onu non vale nulla): atti della stessa tragica messa in scena mondiale che ha sbriciolato ogni pudore, sbiancato ogni rossore e vinto ogni imbarazzo. Badate che non si tratta di ciechi odiatori ma di limpidissimi veggenti antisemiti che stilano liste di proscrizione in cui compaiono i marchi dei computer Hewlett Packard, dei cremosi Danone, degli intramontabili Levi Strauss (con quel binomio di nomi come potevano pensare di farla franca?), delle mirabili creme Ahava e dei gremiti McDonald’s, della soave Nestlé e delle confortevoli Timberland, solo a dire i primi che vengono in mente. Non paghi, i nipotini avvertono di leggere i numeri dei codici a barre che, se iniziano con il numero729 allora è certo che la targa è quella del paese che è doveroso cancellare con un tratto di penna, di cannone e di stupro. Nutriti fin dalla nascita dal latte antisemita, irrobustiti dal cibo antisionista cucinato dalla politica più mediocre e vile che si poteva immaginare, incoraggiati da vitaminiche risoluzioni dell’ineffabile Guterres, i nipotini marciano sottobraccio l’uno all’altro dietro a slogan sterminatori, allenandosi nel nuovo e antichissimo sport: la caccia all’ebreo.
Vorrei però vederli rinunciare all’uso di prodotti hi-tech, rifiutare le salvifiche innovazioni mediche che li guariscono, disdegnare gli esiti scientifici delle università israeliane dove – udite udite – anche le studentesse arabe imparano non solo le materie di studio ma sperimentano cosa significhi essere donne libere. Il sospetto – o meglio, la certezza – è che sia proprio questo che combattono i soldatini della nuova e sgangherata Wehrmacht, e cioè quella potente e inarrestabile corrente di libertà che se nemmeno i loro nonni sono riusciti a contrastare, figurarsi questi.