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LA POLITICA FERMI IL DECLINO DELL’OCCIDENTE

LA POLITICA FERMI IL DECLINO DELL’OCCIDENTE

Stefano Parisi

Credo che tutti condividiamo la consapevolezza che la guerra che sta combattendo Israele sia tra le più dure e scabrose che si possano immaginare, uno scontro dove la complessità militare – con un nemico che si rintana sottoterra e usa la popolazione civile come scudo – rappresenta un’unicità che solo l’esercito di Gerusalemme pare in grado di affrontare. 

Per quel che riguarda le nostre società l’esplosione dell’antisemitismo dopo il 7 ottobre ci impone di chiederci dove sia rimasto nascosto fino a quel tragico sabato di sangue e terrore. La risposta che ci dobbiamo dare è tutt’altro che consolatoria perché sono convinto che l’antisemitismo è stato per decenni soffocato dalla retorica della Shoah. 

Ogni 27 gennaio assistiamo puntualmente a un coro di dolorosa, affranta e condivisa deplorazione e persino l’Anpi è della partita. Il nostro errore è stato quello di aver indugiato in quella retorica senza affermare e ribadire il significato fondamentale dell’esistenza di Israele e il valore che il popolo ebraico ha costruito lungo questi settantasei anni. 

Sottovalutando la questione, non ci siamo resi conto che una parte consistente dell’Occidente odia se stesso e i valori su cui si è costruito nei secoli, coltivando e ora tentando di imporre l’idea che le nostre società sono composte da crudeli colonialisti e infami occupanti di terre altrui. Ogni forma di protesta contro l’Occidente viene ospitata, tollerata e approvata anche se genera cortocircuiti mostruosi come quelli dei militanti LGBTQ che inneggiano ad Hamas o delle femministe che nelle loro manifestazioni negano lo stupro di massa delle donne israeliane. 

Brandire il vessillo dell’indignazione non è però sufficiente. Nostro compito è ora capire e decidere cosa fare, partendo dalla consapevolezza che l’odio che l’Occidente coltiva nei propri confronti è più noto ai nostri nemici che a noi. Lo dimostra l’indiscussa lucidità con cui Xi Jinping e Vladimir Putin si sono alleati con l’Iran e i suoi proxy nell’aggressione violenta del mondo occidentale, per acquisire non solo un predominio economico ma anche militare.

Dobbiamo insomma trovare il coraggio di dire e ribadire con forza la verità, mutando la logica di una politica – lo dico con tutto il rispetto e l’amore che ho per essa – che ha raggiunto un degrado allarmante. 

Se mai servisse un esempio, sarebbe sufficiente rileggere le conclusioni del G7 tenuto a metà giugno a Borgo Egnazia e durante il quale si è applicato impunemente un ennesimo doppio standard. Se la dichiarazione finale dei leader occidentali ha avuto parole giustamente dure contro Putin affermando senza mezzi termini che siamo disposti a fornire tutte le armi necessarie perché l’Ucraina vinca, nel trattare la questione mediorientale, i toni sono mutati e si è intonata una melodia di crucciata apprensione e di pressanti inviti a evitare una escalation. Si è sì accennato agli attacchi che partono dal Libano martellando il nord di Israele senza però mai pronunciare il nome di Hezbollah per poi concludere a favore della soluzione di “due popoli e due stati” e dimenticandosi che i palestinesi l’hanno ripetutamente rifiutata esigendo uno stato proprio che vada “dal fiume al mare”. Per non dire che nessuno dei leader del mondo libero, dopo otto mesi di guerra, ha avuto il coraggio e la dignità di chiedere a Recep Tayyip Erdogan conto degli insulti con cui il presidente turco ha infamato Israele definendolo uno stato nazista. 

Se poi c’è tra di noi qualcuno che pensa che il problema si possa risolvere con la vittoria della destra o della sinistra temo che commetterebbe un madornale errore perché la complessità con cui dobbiamo misurarci e la debolezza del quadro politico del mondo libero non permettono né chimere né allucinazioni di sorta. Se da noi l’Anpi – che il 25 aprile in piazza sventolava più bandiere palestinesi che italiane – ha benedetto il ‘campo largo’, in Francia Raphaël Glucksmann ha scelto di correre con Jean-Luc Mélenchon così, come d’incanto, a sinistra il problema dell’antisemitismo è passato in secondo piano, forse pensando che si tratti di una faccenda che in fondo riguarda solo gli ebrei. Malauguratamente, lo stesso avviene in campo opposto dove ci sono settori non marginali della destra che, decisi a non dare più un euro a Kiev, ripetono che la guerra in Ucraina deve finire anche a costo di abbandonare pezzi del proprio territorio ai russi e fingendo di ignorare che si è creata una salda e letale alleanza tra Putin, Xi Jin Ping e l’Iran degli ayatollah. 

La cruda verità è che quei principi non vengono difesi né dall’uno né dall’altro schieramento politico ed è per questo che è necessario e urgente riaprire e approfondire un serio dibattito sull’entità e la qualità di quei valori. Mentre alcuni paesi di questa fantomatica Europa – e penso a Spagna e Irlanda – si sono affrettati a riconoscere la Palestina, il Qatar acquista squadre di calcio e finanzia le università americane in cui si alleva la ruling class di domani mentre le piattaforme americane – spesso di proprietà ebraica – sono territori aperti alla propaganda dei tagliagole di Hamas. 

Il mio non è un richiamo nostalgico ma l’individuazione di una necessità che ritengo ineludibile: la politica deve tornare a una riflessione profonda e meticolosa sui valori che ci hanno reso liberi e di cui ci nutriamo. Senza di ciò abbiamo di fronte solo un baratro in fondo al quale nessuno di noi né delle nostre idee ha la minima speranza di sopravvivenza.