SETTEOTTOBRE
L’ESPRIT DU TEMPS
Tra poco sarà un anno dal pogrom con cui Hamas ha dichiarato guerra a Israele e all’Occidente. L’Associazione Setteottobre, nata in Italia per combattere l’antisemitismo risorgente nelle nostre società, ha deciso di avviare una riflessione su che cosa è cambiato, dopo il 7 ottobre del 2023, nelle nostre vite individuali e nella vita collettiva.
Ilaria Borletti Buitoni
Il 7 ottobre è stato rapidamente archiviato. Le associazioni femministe si sono rifiutate di esprimere solidarietà alle donne ebree che avevano subito in quell’attacco violenze inaudite, pagando spesso con la vita, e alcuni partiti politici, nascosti dietro un finto pacifismo, hanno, ancor prima che l’esercito israeliano attaccasse Gaza, cavalcato ondate di antisemitismo senza esprimere alcuna indignazione. Di fronte a tutto ciò era ed è necessario non tacere perché quello che è avvenuto il 7 ottobre è stato in realtà il peggior attacco non solo a Israele, non solo agli ebrei ma a tutti noi dall’11 settembre 2001. Abbiamo già avuto negli ultimi anni molti segnali di come l’Occidente sia scosso, diviso, incapace di dare risposte alla complessità del nostro tempo e già visto, con la precedente elezione di un presidente americano come Trump, come le basi delle nostre democrazie siano di colpo diventate fragili: ciò che è avvenuto nelle università americane, le più importanti di quel paese che tanto deve all’immigrazione ebraica dall’Europa del XX secolo, è il segno inequivocabile di una malattia che ci sta contagiando. Con un colpo di spugna, grazie anche a influenze esterne, abbiamo cancellato la Storia, abbiamo deciso di non poter definire Hamas “terroristi sanguinari” come dovrebbero essere coloro espongono civili inermi come scudi umani al sacrificio per Allah. Vengono sventolate con orgoglio le bandiere di Hamas e vengono bruciate quelle di Israele in molte piazze occidentali. La spiegazione è sempre la stessa: è inaccettabile vedere morire dei bambini, decine di migliaia di morti è genocidio, la colpa è di Israele, anzi degli ebrei alleati a quell’impero del male come oggi sono vissuti gli Stati Uniti. Una sentenza definitiva adottata dalle organizzazioni internazionali, da molti media e presente negli slogan delle manifestazioni degli studenti. Ma chi sono i responsabili di quei morti? Certo Israele che ha dichiarato guerra a Hamas dopo il 7 ottobre. La guerra non fa sconti e le decine di chilometri di tunnel militarizzati costruiti sotto Gaza, in particolare sotto obiettivi sensibili come ospedali e scuole sono stati travolti da una pioggia di fuoco mentre i terroristi si nascondevano come topi sotto terra abbandonando in superficie la popolazione civile, stremata e stordita: decine di migliaia di persone sono state usate da Hamas per vincere una guerra ben più ampia di quella che si combatteva a Gaza. Di fronte alle drammatiche immagini di morte non c’è il tempo per chiedersi se esistano altre responsabilità della tragedia e il risultato di questa semplificazione è un dito puntato solo contro Israele ma non anche contro Hamas che ha scatenato la mattanza del 7 ottobre, non contro quei paesi arabi e non che lo sostengono e finanziano, come l’Iran, con obiettivi politici che nulla hanno a che fare col futuro del popolo palestinese, non contro quegli Stati che settimanalmente sparano centinaia di missili in territorio israeliano, non contro l’inutile autorità palestinese in Cisgiordania. È solo Israele il colpevole: come lo erano gli ebrei nel XIV secolo accusati per la pestilenza e quindi bruciati. Netanyahu è forse il peggior primo ministro che Israele abbia mai avuto: colpevole di non aver previsto e forse evitato il 7 ottobre, colpevole di aver utilizzato il fanatismo dei coloni per occupare territori con la violenza e colpevole, secondo l’opinione generale, di aver, dopo il 7 ottobre, scatenato una guerra inutile (ma quale sarebbe dovuta essere la risposta “utile?”) che ha decapitato solo parte dei vertici di Hamas. Nel frattempo l’Iran ha attaccato militarmente Israele e ancora decine di ostaggi, se vivi, sono prigionieri a Gaza o Rafah. Israele è una democrazia che chiede con forza un futuro diverso ma che non può rinunciare a un paese sicuro e riconosciuto dagli stati vicini. E questo lo possono garantire i cantori del sogno dei “due Stati”? No, non lo possono garantire per la semplice ragione che gli Stati arabi non riconoscono il diritto all’esistenza dello Stato di Israele. Quindi non sono ebrea, ma un mondo senza lo Stato di Israele sarebbe un mondo sconfitto, sarebbe un mondo in cui l’Occidente avrebbe perso davanti all’estremismo, un mondo meno sicuro che ha consegnato la vittoria a chi combatte tutto ciò in cui noi abbiamo creduto: la libertà, la democrazia, i diritti civili, l’uguaglianza. Oggi essere antisemiti, rifiutare di capire la complessità del dramma che sta avvenendo sotto i nostri occhi non vuole dire volere la pace ma solo la scomparsa dello stato ebraico firmando così la fine più prossima dell’Occidente e di tutti noi. Ebrei e non.
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