SETTEOTTOBRE
L’ESPRIT DU TEMPS
Tra poco sarà un anno dal pogrom con cui Hamas ha dichiarato guerra a Israele e all’Occidente. L’Associazione Setteottobre, nata in Italia per combattere l’antisemitismo risorgente nelle nostre società, ha deciso di avviare una riflessione su che cosa è cambiato, dopo il 7 ottobre del 2023, nelle nostre vite individuali e nella vita collettiva.
Giulio Meotti
Il 7 ottobre ha cambiato tutto per Israele e per gli ebrei di tutto il mondo. Un orrore mai subito dopo la Shoah e uno scempio satanico mai visto in un paese civile e democratico, che ha capito (speriamo) che la loro mano tesa non è ricambiata dalla comprensione, ma dai doni della morte, e che l’esistenza di questo stato-guarnigione in Medio Oriente non è affatto scontata, neanche dopo quasi ottant’anni e tutte le guerre e gli agguati e gli attentati e i morti che ha dovuto patire. Ma il 7 ottobre ha cambiato soltanto in peggio il resto del mondo e, per quel che ci interessa, l’Occidente. Il massacro di 1.200 e il rapimento di 200 israeliani, le decapitazioni e gli stupri e le mutilazioni e le famiglie rastrellate e assassinate, tutto quello che i barbari di Hamas hanno trasmesso in mondovisione perché non si negasse che lo avevano fatto, ha soltanto alleggerito le coscienze occidentali, facendole rivoltare contro la vittima del pogrom, aizzando l’odio antisemita come mai prima, scatenando la caccia fisica, politica, legale e culturale agli ebrei e a Israele, l’Ebreo fra le nazioni, dalle università di New York ai tribunali dell’Aia, dalle strade di Londra ai parlamenti di Bruxelles. Illudersi che il Sabato Nero avrebbe portato cuori e menti a Israele: che errore madornale. A parte un manipolo di volenterosi, come questa associazione benemerita, Israele è oggi la causa meno popolare in Occidente (le specie animali in via di estinzione smuovono di più). Perché l’ebreo lo vogliono ancora indifeso, massacrato, mansueto, stipato nei ghetti e nei forni, capro espiatorio ideale su cui costruirci una retorica dozzinale di pietà e umanità. Israele è invece l’ultimo stato europeo e occidentale (a parte quel che resta degli Stati Uniti) che di finire travolto non vuole saperne, che non accetta il ruolo di vittima e che ha una identità e un futuro luminoso, ma che deve difenderlo con le unghie e con i denti, costi quel che costi. E allora si mette male, anzi malissimo, dopo aver visto come le democrazie e le loro opinioni pubbliche nichiliste si sono strette agli aguzzini degli israeliani, ne urlano le parole d’ordine, ne agitano le bandiere, persino le fotografie di Yahiya Sinwar, questo genio del male che sembra uscito da un racconto di Bulgakov. La domanda è ora una sola: che fare, come diceva Lenin? Tirare avanti sapendo di essere dalla parte della ragione, che esistono il bene e il male e urlare alle masse addormentate e alle élite più corrotte che i prossimi saranno loro, che i barbari non si fermeranno a Israele, che dopo il Sabato viene la Domenica e che, come va per il piccolo Davide protetto da una cupola di ferro e dal suo straordinario coraggio, andrà per tutti noi.
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