SETTEOTTOBRE
L’ESPRIT DU TEMPS
Tra poco sarà un anno dal pogrom con cui Hamas ha dichiarato guerra a Israele e all’Occidente. L’Associazione Setteottobre, nata in Italia per combattere l’antisemitismo risorgente nelle nostre società, ha deciso di avviare una riflessione su che cosa è cambiato, dopo il 7 ottobre del 2023, nelle nostre vite individuali e nella vita collettiva.
Sergio Della Pergola
Il 7 ottobre 2023 rappresenta uno spartiacque, o per lo meno una linea di faglia tettonica della storia, e segna la fine di tre grandi illusioni interconnesse che subito elencherò. Ma devo premettere che ascoltando i numerosi boati che mi hanno svegliato alle 6.30 di quel Sabato mattina, che era anche la festa di Sheminí ‘Azzèret/Simhàt Torà, pensavo ai tuoni di un normale temporale autunnale, molto pertinente nella ricorrenza in cui gli ebrei si accingono a pregare per le future piogge. Come del resto tutti, ero completamente impreparato mentalmente, psicologicamente, politicamente, a prevedere, capire, metabolizzare quello che stava realmente succedendo. Vivevamo tutti la nostra utopia israeliana con fiducia e ingenuità. Queste brevi riflessioni cercano di captare i grandi mutamenti di percorso che personalmente ho percepito a partire da quel drammatico momento.
La prima grande illusione riguarda la storia e il significato di Israele, come Stato e come fulcro dell’essenza del popolo ebraico globale. Ci eravamo illusi che dopo oltre 75 anni d’Indipendenza, Israele fosse ormai sulla strada della maturità, del benessere consolidato, perfino della capacità di auto-analizzarsi criticamente e di introdurre riforme costituzionali che non erano state possibili all’epoca dei difficili inizi. Scopriamo invece che il problema fondamentale di esistere e di sopravvivere non è ancora assolutamente risolto. È a questo che dovremo dedicare ancora per molti anni gran parte delle nostre risorse mentali e materiali. Meno Atene e più Sparta. I nostri giovani saranno mobilitati ancora nelle prossime generazioni nell’imperativo categorico di difendere l’esistenza di Israele. La società civile dovrà restare allertata per rafforzare la democrazia ed evitare pericolose svolte politiche in senso reazionario e messianico che sono sempre in agguato. Sarà necessario un profondo ricambio della dirigenza politica e militare. Anche la dialettica esistenziale e affettiva con la Diaspora ebraica richiederà una svolta radicale, con la creazione di una vera tavola di discussione dei problemi e degli interessi congiunti, che oggi manca completamente.
La seconda grande illusione concerne la presenza del popolo ebraico e di Israele nel contesto delle sue relazioni con i popoli e le civiltà del Medio Oriente. Un certo processo di pacificazione regionale ondeggiante ma comunque volto alla normalizzazione ci aveva indotto a credere che Israele sarebbe stato accettato nel consesso dei popoli della regione. Scopriamo invece che il progetto del rifiuto e del genocidio sono ancora ben vivi e operanti. La testa del serpente è chiaramente in Iran, le sue metastasi in Libano, nello Yemen, in Siria, in Iraq, ed esistono inquietanti relazioni tra vassallaggio e signoria con la Russia e in parte anche con la Cina e la Corea del Nord. La guerra a Gaza e in Libano prosegue e svela il bluff dell’onnipotenza militare israeliana, ma anche rivela l’abnegazione e l’immenso eroismo dei suoi giovani combattenti. Gli orrori senza precedenti del 7 ottobre, e gli atti inumani perpetrati da Hamas contro i 250 deportati a Gaza, hanno reso inevitabile la reazione più che proporzionale che tutte le persone oneste comprendono bene. E tuttavia, è ancora e sempre tempo di trattativa per cercare di raggiungere la fine delle distruzioni reciproche. La responsabilità di quello che potrà avvenire alla fine – non una pace immaginaria ma almeno una tregua, oppure una catastrofe regionale e poi globale – pesa tutta sulle spalle degli intermediari occidentali e mediorientali.
La terza grande illusione coinvolge l’essenza intellettuale e spirituale del mondo occidentale. Dopo e nonostante la Shoah, avevamo sperato che l’occidente – che della Shoah è stato l’ideatore e l’esecutore – si fosse ravveduto; e che avesse fatto propria l’insofferenza – non dico la ripugnanza – nei confronti della causa occasionale dello slogan: “Mai più”. Ma non è cosí. In larghi strati della società, della politica, dell’accademia, delle Chiese, e delle reti di comunicazione, nel mondo in generale e nei paesi cosiddetti civili, viene rimessa costantemente in discussione la legittimità dell’esistenza paritaria, della memoria autonoma, e della sovranità politica dell’ebreo. Dignità, memoria e sovranità sono le tre esigenze fondamentali dell’essere ebreo, oggi, e c’è ancora oggi chi le nega. Una lettura ignorante, ostile e arbitraria della parola sionismo viene strumentalizzata per estendere un atto di condanna – per crimini mai commessi – a tutto il popolo ebraico. Partiamo dall’assunto non negoziabile che noi, le vittime, siamo i soli a poter determinare la presenza e la natura dell’antisemitismo. Questa fetida sindrome appare in continuo e pericoloso aumento e testimonia di un rinnovato scivolamento di grossi spezzoni dell’Occidente in un baratro di cui, purtroppo, non si vede il fondo. La vergogna cade sui perpetratori, sui conniventi, sugli indifferenti.
Da parte nostra continueremo a perseguire la nostra utopia, consci dei nostri diritti inalienabili, e scrupolosamente attenti ai diritti degli altri e ai valori morali della tradizione ebraica.
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