SETTEOTTOBRE
L’ESPRIT DU TEMPS
Tra poco sarà un anno dal pogrom con cui Hamas ha dichiarato guerra a Israele e all’Occidente. L’Associazione Setteottobre, nata in Italia per combattere l’antisemitismo risorgente nelle nostre società, ha deciso di avviare una riflessione su che cosa è cambiato, dopo il 7 ottobre del 2023, nelle nostre vite individuali e nella vita collettiva.
Christian Rocca
Il 7 ottobre non è mai diventato 8, 9, 10 ottobre. Non è mai finito. Il primo pensiero che ho messo per iscritto, la mattina in cui nazisti islamici hanno scatenato una guerra contro gli ebrei, purtroppo è ancora attuale: «Non ci sono parole adeguate a raccontare il Male che si dispiega davanti a noi in tempo reale, non è possibile riflettere a ciglio asciutto quando l’apocalisse è ancora in corso, quando c’è la consapevolezza che la barbarie del sabato mattina di Sukkot, la festa ebraica delle capanne, continuerà ancora a lungo e avrà conseguenze inimmaginabili».
Qualche settimana prima del 7 ottobre avevo visitato il lager approntato dai russi a Yahidne, in Ucraina, una nuova Auschwitz del XXI secolo nel cuore d’Europa, non lontana da dove si era giurato che mai più avremmo visto tale pianificazione di atrocità. Eppure quel sabato di ottobre ci siamo svegliati con un pogrom nel sud di Israele, una mattina dei cristalli preparata a tavolino ed eseguita grazie anche a un sommovimento popolare che ha dato la caccia agli ebrei, ha ucciso i civili sul posto, ha separato le donne dagli uomini e le ha fisicamente trascinate a Gaza assieme ai bambini, per poi offrire i loro corpi al pubblico festante, alla folla pronta a sputare sui prigionieri e a profanare i cadaveri, a una fiumana felice e inneggiante ad Allah.
Un anno dopo, a Novecento finito da due decenni, non riusciamo a chiamare col suo nome, nazismo islamico, quello che sta succedendo sotto i nostri occhi. Un secolo e un anno dopo i pogrom, abbiamo ancora qualche problema di comprensione della realtà e ci occupiamo soltanto della virulenta risposta di Israele.
Criticare la strategia militare di Netanyahu, e gli effetti sulla popolazione di Gaza, è legittimo, anzi doveroso, così come chiedere contemporaneamente il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi. Il punto è che nessuno scende in piazza per chiedere il cessate il fuoco ai russi, ai cinesi, agli iraniani, a Hezbollah, a Hamas. In Occidente si protesta solo contro l’America e contro Israele, considerati più o meno la stessa entità capitalista teleguidata dalla medesima lobby ebraica, e si strappano i volantini con le foto degli ostaggi ebrei.
Che si protesti contro sé stessi non è una cosa negativa né banale, anzi dimostra la superiorità della civiltà occidentale rispetto alle alternative che abbiamo a disposizione.
Il problema, quindi, non è la mobilitazione occidentale contro i supposti crimini di guerra commessi da Israele, ma la mobilitazione soltanto contro Israele, la cui particolarità e unicità rispetto ad altri soggetti dello scenario internazionale è che Israele è lo Stato degli ebrei.
Il problema non è il diritto a indignarsi per la carneficina a Gaza, ma non manifestare mai contro i responsabili delle stragi islamiste che infiammano il mondo, mai contro Hamas, mai contro l’Isis, mai contro Bin Laden, mai contro gli Ayatollah, mai contro Bashar Assad e il suo complice Vladimir Putin. Mai contro la caccia all’ebreo, anzi la caccia all’ebreo è tornata di moda, è diventata cool, anche in Occidente
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