SETTEOTTOBRE
L’ESPRIT DU TEMPS
Tra poco sarà un anno dal pogrom con cui Hamas ha dichiarato guerra a Israele e all’Occidente. L’Associazione Setteottobre, nata in Italia per combattere l’antisemitismo risorgente nelle nostre società, ha deciso di avviare una riflessione su che cosa è cambiato, dopo il 7 ottobre del 2023, nelle nostre vite individuali e nella vita collettiva.
Giancarlo Loquenzi
Un anno fa, il 7 ottobre 2023, un gruppo di terroristi palestinesi ha invaso Israele, ucciso 1200 tra civili e militari e preso in ostaggio 250 persone, tra cui 30 bambini.
È stato immediatamente chiaro quale terribile dilemma si sarebbe presentato al governo israeliano: come si fa ad annientare i terroristi di Hamas affinché una simile tragedia non si ripeta e allo stesso tempo trattare con quegli stessi terroristi per salvare e riportare a casa gli ostaggi?
Non c’è una risposta a questa domanda, non c’è un manuale operativo che suggerisca una soluzione, un precedente che possa aiutare. Tutto quello che è accaduto è senza precedenti.
Benjamin Netanyahu e il suo governo hanno lottato fin dal primo giorno con tutto questo, cercando ossessivamente una strada, sbagliando, riprovando, vincendo e perdendo. Perché una sola cosa non potevano fare: dimenticare l’orrore del 7 ottobre, archiviarlo come mai accaduto, decidere di non reagire.
Nessuno governo e nessun politico al mondo si sarebbe voluto trovare davanti a un dilemma del genere. Una risposta debole, non definitiva, che non andasse alle radici del potere e dell’organizzazione terroristica di Hamas, avrebbe aperto le porte al ripetersi della strage, avrebbe rappresentato un incoraggiamento a riprovarci. Hamas non misura le perdite militari e civili come farebbe qualsiasi governo: finché ci sono braccia per armare un bazooka o lanciare una granata, la guerra non è persa, non importa quante vittime siano rimaste sul terreno. La “causa palestinese” fa premio su ogni singolo palestinese, uomo, donna, bambino, giovane o vecchio. Più sono le vittime più la “causa” risplende.
Allo stesso modo, ogni trattativa per liberare gli ostaggi, ogni cedimento, ogni prigioniero rilasciato, ogni giorno di cessate il fuoco, era immediatamente tradotto in un premio per Hamas: stermino centinaia di civili israeliani e mi riporto a casa migliaia di terroristi e assassini. Invado Israele, metto a ferro e fuoco paesi e kibbutz e i vertici del paese devono venire in ginocchio a casa mia, anche solo per avere indietro i corpi degli ostaggi morti.
Sconfiggere Hamas una volta per tutte comportava mettersi contro l’opinione pubblica mondiale, le Università, le Nazioni Unite, gli antisemiti dormienti di ogni latitudine, i tribunali internazionali, i governi che si ritenevano alleati, filosofi, scienziati, intellettuali di ogni confessione, i giovani ormai annoiati dai Friday for Future, le femministe con le loro distrazioni, la comunità LGBT con i suoi paradossi, e chissà cos’altro.
Trattare con Hamas senza cedere, senza premiare chi aveva ancora sulle mani il sangue di 1200 israeliani, comportava esporsi alla comprensibile rabbia delle loro famiglie, alle manifestazioni oceaniche di solidarietà, allo stillicidio delle morti, alla guerra psicologica di Hamas, all’incubo si sapere quelle povere anime nel buio dei tunnel, per settimane, poi mesi, poi un anno.
Quale governo può fare tutto questo senza sbagliare, quale uomo di governo può reggere la lacerazione di questo dilemma, chi si sentirebbe pronto ad affrontare una tragedia del genere? Eppure è successo l’impensabile: pochi giorni, forse poche ore di solidarietà a Netanyahu e al suo paese poi è cominciata la sarabanda delle accuse, lui e non altri è diventato l’uomo cattivo che il mondo ama odiare, che il mondo vuole processare e cancellare.
Netanyahu ha commesso errori? Enormi. Agisce con l’intento di restare al potere? È probabile. Governa da troppo tempo e dovrebbe farsi da parte? Questo è certo. Ma dall’8 ottobre in poi chi non ha commesso errori, quanti non hanno saputo farsi carico del diritto di Israele a esistere, quanti hanno girato le spalle ha un paese che persino in guerra si aggrappa alla democrazia con le unghie e con i denti?
Netanyahu è brutto e cattivo, ma cosa sono quelli che fin dai primi giorni, andavano sorridenti e baldanzosi a strappare le foto degli ostaggi? Quelli che minacciavano e picchiavano gli studenti ebrei nelle Università, quelli che invadevano le città con le bandiere palestinesi e le immagini dei paracadutisti assassini, inneggiando ai terroristi? Fin dai primi giorni, quando l’esercito israeliano non era neppure ancora entrato a Gaza.
Dopo un anno il dilemma resta lo stesso: come si impedisce a Hamas di fare un secondo e un terzo e un centesimo 7 ottobre? E come si tratta per liberare gli ostaggi senza regalare una vittoria a tavolino a coloro che li hanno rapiti? Avete una risposta? Io no.
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