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L’INCOGNITA SIRIA

L’INCOGNITA SIRIA 

Un popolo senza voce che finalmente grida

Sofia Tranchina

«Tutti odiamo Assad, ma nessuno poteva dirlo».

Alle tre del mattino, ho ricevuto questo messaggio da M.S., un amico musulmano che vive in Siria. Fino a oggi, si è sempre rifiutato di rispondere a qualsiasi domanda gli facessi a riguardo: alzava le sopracciglia, sgranava gli occhi, scuoteva la testa e interrompeva la videochiamata. Oggi, poco dopo la fuga del rais, questo è stato il primo messaggio che mi ha inviato. Chissà da quanto tempo se lo teneva dentro.

Crolla così il regime di Assad, artefice del più grande massacro della propria gente in Medio Oriente. Un regime responsabile di trecentoquaranta attacchi documentati con armi chimiche, ottantadue mila barili bomba, centinaia di migliaia di civili uccisi e altrettanti scomparsi nelle carceri. A ciò si aggiungono milioni di rifugiati e sfollati interni, città rase al suolo, stupri e torture, un’economia in caduta libera e il novanta per cento della popolazione sotto il livello di povertà.

La repressione di Assad ha generato un popolo di oppressi senza voce, terrorizzati nel profondo sin da quando, a Daraa, nel 2011, l’esercito del regime rapì e torturò ferocemente un gruppo di adolescenti. Ispirati dalle Primavere Arabe, avevano scarabocchiato sulle pareti della scuola frasi come “tocca a te, dottore”, una frecciata al dittatore oftalmologo Bashar al-Assad. Quando i genitori dei ragazzi si recarono dalle autorità per protestare e chiedere la liberazione dei figli, le autorità, sprezzanti e lapidarie, risposero: “Fate altri figli e, se non sapete come, ve lo mostriamo noi”.

Iniziarono le proteste, che presto si trasformarono in guerra civile, quando, il 29 luglio 2011, alcuni soldati costretti a reprimerle con l’artiglieria disertarono e fondarono l’Esercito Siriano Libero.

Inizialmente, si trattava per lo più di gruppi laici e popolari che volevano porre fine al regime dittatoriale e istituire forme di governo democratiche. Tra questi, Ghiath Matar, attivista che portava fiori e acqua ai soldati del regime, corredati da un bigliettino che recitava “io e te siamo fratelli”. I soldati finirono per catturarlo, torturarlo e ucciderlo.

Presto, il traffico di denaro e l’integralismo islamico contaminarono la rivolta, trasfigurandola. Sfruttando il caos tra forze lealiste e ribelli, gli islamisti guidati da Abu Muhammad al-Jolani si allearono con l’ISIS di al-Baghdadi e fondarono la milizia jihadista salafita Jabhat al-Nusra, finanziata direttamente dalla controparte irachena. Questi ribelli non condividevano gli obiettivi dei primi rivoltosi: volevano uno Stato fondamentalista basato sulla sharia, e – come i talebani afghani – non disdegnavano decapitazioni sommarie, torture, e attacchi terroristici. La rivolta contro un regime oppressivo era finita nelle mani di integralisti altrettanto spietati.

Quando al-Baghdadi, in procinto di unire Iraq e Siria in un Califfato, annunciò pubblicamente l’alleanza tra ISIS e Jabhat al-Nusra, quest’ultima si emancipò dalla “madre” e giurò fedeltà ad al-Qaeda. Nel 2016-17, poi, mentre gli Stati Uniti e i curdi lottavano indefessamente contro i fondamentalisti islamici, l’istinto di sopravvivenza di Al Jolani lo spinse a voltare le spalle anche ad al Qaida, cambiando il nome della propria organizzazione prima in Jabhat Fatah al-Sham, poi in Hayat Tahrir al-Sham. Con questa mossa, abbandonò la jihad globale e si concentrò sulla questione siriana, dichiarando di perseguire obiettivi nazionali.

Il programma “Rewards for Justice” del Dipartimento di Stato americano aveva offerto una taglia di dieci milioni di dollari per la cattura di al-Jolani. Tuttavia, grazie alle sue mosse strategiche, al-Jolani riuscì a sottrarsi al mirino americano e iniziò a mostrarsi in pubblico senza temere per la propria incolumità, in abiti civili e moderni invece che nell’uniforme militare o con la tradizionale jellabah, tunica bianca degli islamisti.

Le comunità cristiane finite sotto il controllo di HTS subirono persecuzioni, confische di proprietà e gravi restrizioni, tra cui il divieto di esporre simboli religiosi.

«Bashar ci ha perseguitati, distrutti e torturati, commettendo i crimini più orrendi contro i bambini, con l’uso di armi chimiche, massacri di massa, bombardamenti e sfollamenti forzati, e ha seminato la paura dentro di noi. Ma quando i militanti di Jabhat al-Nusra hanno iniziato a conquistare i territori cristiani, abbiamo visto che i massacri che compivano contro di noi erano persino peggiori di quelli di Bashar», racconta A.A., siriana cristiana in Italia.

Tuttavia, negli ultimi anni, HTS ha cercato di riqualificare la propria immagine agli occhi della comunità internazionale, puntando a ottenere legittimazione e finanziamenti esteri, e ha concesso la riapertura delle chiese. Ora che la coalizione al-Fatah al-Mubin (che riunisce sia gli islamisti di HTS e di Jaysh al-Izza, sia i filoturchi del Fronte Nazionale per la Liberazione), al Jolani promette tolleranza nei confronti delle minoranze.

«Oggi, prima di pensare al futuro, mi voglio permettere di gioire, anche solo un po’, dopo 14 anni», continua A.A. «Ci hanno detto che i valori di Hayat Tahrir al-Sham includono ancora la persecuzione dei cristiani, ma forse siamo solo prigionieri della cultura della paura; i loro miliziani oggi ci hanno sorpresi con la loro nobiltà, hanno promosso una cultura di tolleranza e il desiderio di ricostruire l’unità del popolo siriano».

La Turchia di Erdogan esulta: i ribelli potrebbero essere un forte alleato in funzione anti-curda, e potrebbero riassorbire le migliaia di rifugiati siriani scappati in Turchia. Ma per i siriani la vittoria è macchiata dalla fuga di Bashar al Assad, che, scappato in Russia, si è sottratto alla giustizia e alla vendetta del popolo che ha oppresso per ventiquattro anni e massacrato per quattordici.

«Sono amareggiata da questa fuga. Assad avrebbe dovuto essere processato e pagare per i suoi crimini e per la distruzione della mia meravigliosa Siria. È un’ingiustizia per i bambini uccisi con le armi chimiche, per il sangue dei martiri e per le loro madri, per ogni padre che ha lavorato anni per costruire una casa, poi distrutta e saccheggiata da Assad. È un’ulteriore tragedia per i siriani annegati in mare mentre cercavano di sfuggire all’esercito. È un’umiliazione per ogni rifugiato costretto a vivere al di fuori del proprio Paese. Per me, sono 14 anni della mia infanzia strappati via, resa insonne dal suono dell’artiglieria e dalla paura che i miei cari venissero uccisi».

Quanto sta accadendo in Siria è l’ultimo sintomo di una più ampia destabilizzazione, iniziata con la resistenza ucraina all’invasione russa, che ha indebolito Putin, distraendolo dalla Siria, dove manteneva gelosamente il controllo della città portuale di Tartus. La decimazione delle forze di Hezbollah compiuta da Israele ha poi impedito agli “eretici libanesi” di opporsi all’avanzata di HTS e di compiere ulteriori massacri di siriani per conto del regime, come avevano fatto ad al-Qusayr, Madaya e Zabadani. Si sbriciola anche la mezzaluna sciita e con essa l’autorevolezza della Repubblica Islamica dell’Iran, che in Siria disponeva di basi strategiche per attaccare Israele da vicino, mentre il popolo iraniano si chiede che cosa ne è dei miliardi investiti in basi militari in Siria. L’Arabia Saudita vede finalmente la Siria allontanarsi dal centro gravitazionale sciita ed entrare nella propria sfera di competenza, mentre Israele calcola quali rischi e pericoli l’instabilità dei vicini porterà con sé, e rinforza i confini.

Il mondo occidentale si chiede se le cellule residue dell’ISIS si risveglieranno, e se i ribelli jihadisti al potere rispetteranno le donne, i cristiani, e i curdi, loro nemici storici. Ma i siriani si prendono un momento di tregua dalle preoccupazioni, come racconta A.A.:

«Oggi assaporo il gusto della libertà nel mio Paese, una libertà di cui siamo stati privati per così tanto tempo. Da qui, da lontano, sento il desiderio di tornare in Siria per condividere la gioia del mio popolo, per gridare le nostre richieste pubblicamente e senza paura, per la prima volta».