PERCHÈ POI VOTANO PER NETANYAHU?
Intervista a Ernesto Galli della Loggia
Realizzata da Gianni Saporetti
da “Una Città”, n° 307 / 2025 febbraio
Il rischio che, intervistando solo israeliani di sinistra, al lettore che non vive in Israele sfugga quel contesto che l’intervistato dà per scontato; una sinistra “buona per definizione” deve chiedersi perché poi vincono “i cattivi”; cosa si doveva fare per liberare gli ostaggi? E chi, in una trattativa, può rappresentare i palestinesi? Una situazione drammatica che chiede realismo, concretezza e non semplificazioni e moralismo.
Intervista a Ernesto Galli della Loggia.
Ernesto Galli della Loggia, storico, è editorialista del “Corriere della Sera”. Il suo ultimo libro è “Una capitale per l’Italia. Per un racconto della Roma fascista” (Il Mulino, 2024).
D:
Se hai visto un po’ la rivista, sai che abbiamo fatto interviste soprattutto a ebrei, anche israeliani, molto critici del governo Netanyahu. Poi, ti leggo sul “Corriere” e immagino che tu non condivida la scelta della rivista…
R:
Quello che ho pensato è che dare la parola agli ebrei israeliani, diciamo di sinistra, critici verso il governo nazionale, sia giustissimo, però, quando si riportano le loro opinioni su un giornale italiano non si tiene conto che mentre per l’intervistato, vivendo nel contesto israeliano, tutta una serie di cose sono scontate, invece per il lettore italiano non lo sono per nulla. A loro arriva soltanto la critica che gli intervistati fanno al loro governo. Questo crea uno squilibrio anche nella valutazione delle sue parole da parte del lettore, che ne ha un’impressione forse diversa da quella che ne avrebbe invece un lettore israeliano che è informato del contesto. Allora di questo forse andrebbe tenuto conto.
Poi, sempre a questo proposito, riportando solo l’opinione degli israeliani di sinistra, si rischia di non chiedersi come mai c’è una maggioranza di israeliani che vota per Netanyahu. Perché? Questa è una domanda importante, posto che la maggioranza degli israeliani che vota per Netanyahu non è finta, perché lì le elezioni sono serie, il gioco democratico è aperto, c’è il dibattito.
Ecco, anche questo viene oscurato: si dà per scontato, cioè, che non si possa che essere contro Netanyahu, che l’essere a favore di Netanyahu è di per sé privo di buone ragioni, mentre invece ci sono forse anche delle buone ragioni per chi sostiene Netanyahu. O no? Io penso di sì, per forza, perché, lo ripeto, in quelle elezioni non c’è coazione, uso della forza, non c’è il partito unico di Netanyahu che alle urne porta elettori irregimentati.
Questo è un primo punto importante. Un altro punto è questo: ho letto con interesse tutto l’elenco molto dettagliato delle distruzioni di case che vengono fatte nei territori occupati dall’esercito israeliano a vario titolo, per rappresaglia, per punizione, eccetera. Un elenco molto puntuale. Ma mi sono chiesto: “una città” ha mai pubblicato un elenco puntuale dei missili che ogni giorno per anni sono caduti su Israele, ha descritto dove sono caduti e se hanno fatto dei feriti o dei morti? Sono stati migliaia e migliaia. Ma a noi pare del tutto ovvio che un paese riceva normalmente migliaia e migliaia di missili? Forse non è del tutto normale. E perché allora non pubblicare dove e con quale cadenza sono caduti sul territorio israeliano in un anno? Io lo so che tutto questo è fatto senza nessuna malizia, ma mi domando anche se questo sia un’attenuante o piuttosto un’aggravante. Perché se è fatto con malizia, si vuole a tutti i costi imporre al lettore una presa di posizione quindi si usano tutti i mezzi, la cosa in un certo senso è chiara, ma se è fatto senza malizia vien da chiedersi perché. Per esempio, nell’ultimo numero ho letto l’articolo di Battini, dove si parla dei “corpi dei bambini consumati dalla fame”. Ma, insomma, si è visto mai un solo bambino emaciato dalla fame, in tutti questi mesi? Tu l’hai visto? La cosa della carestia è una pura invenzione. I prigionieri arabi nelle mani degli israeliani si dice che vengano torturati, angariati, ma perché allora Hamas non ha mai fatto una conferenza stampa mostrando i corpi di qualcuno di questi prigionieri? Ne sono stati rilasciati migliaia e migliaia via via nel corso degli anni, negli ultimi giorni almeno due o tremila. Se fossero stati in condizioni simili a quelle, che invece abbiamo visto, degli ostaggi usciti da Gaza, Hamas si sarebbe persa questa fantastica occasione pubblicitaria?
Infine pongo un’ultima questione: quello che sta accadendo negli ultimi giorni non è la dimostrazione che se Hamas rilascia gli ostaggi cessano i bombardamenti? Che quindi se lo faceva prima quei bombardamenti sarebbero cessati prima? Non pensi che in qualunque momento Hamas avesse liberato gli ostaggi per Israele sarebbe diventato impossibile continuare a bombardare Gaza? Ma poi: che diritto aveva Hamas di tenere quegli ostaggi?
Ecco, queste sono questioni che vorrei vedere affrontate.
D:
Capisco bene e posso essere d’accordo, bisognerebbe andare là e intervistare anche “gli altri” israeliani, ma forse c’è anche un fatto psicologico che ci condiziona: Hamas noi la diamo per scontata. Li abbiamo sempre chiamati fascisti verdi, così gli hezbollah; sappiamo che sono terribili, e con il 7 ottobre hanno toccato il fondo; da Israele, invece, ti aspetti qualcos’altro, in un certo senso ti aspetti “che non sia terribile”. Certo, questo è un fatto psicologico forse discutibile da un punto di vista editoriale…
R:
No, no, capisco bene quello che dici, perché è comprensibile, però devi pensare che Israele si trova alle prese con quelli che tu ritieni essere costituzionalmente delle canaglie. Se la deve vedere con quelli.
D:
L’altra obiezione riguarda il numero di morti palestinesi. è sembrato che entrambi volessero che scorresse molto sangue palestinese, e Hamas l’ha anche dichiarato apertamente. A parte la questione morale, che riguarda la proporzione e la giustezza della punizione dei civili, eccetera, non è che Netanyahu è caduto in una trappola?
R:
Non so, forse sono caduti in una trappola però alla fine in quel modo gli ostaggi li hanno avuti. Qual era l’altro modo? Perché chi avanza delle critiche in una situazione così angosciosa e cruciale ha il dovere anche di dire in maniera verosimile cosa allora bisognava fare…
D:
Forse tentare di separare i palestinesi da Hamas colpendo in modo più chirurgico e facendo entrare gli aiuti umanitari o portandoli addirittura loro in prima persona…
R:
Ma gli aiuti umanitari erano sequestrati ogni volta da Hamas, se ne appropriava e li rivendeva. Questo è dimostrato. Nulla accade a Gaza che non voglia Hamas, non c’è nessuna possibilità che i palestinesi si esprimano indipendentemente da Hamas. Perfino le Nazioni Unite lì sono totalmente infiltrate da Hamas, ma per forza, perché non può accadere nulla che Hamas non voglia.
D:
Ma nel passato gliel’ha concessa proprio Israele ad Hamas la “delega” a operare…
R:
Netanyahu ha aiutato finanziariamente Hamas? Può essere, può essere stato un calcolo sbagliato, ma resta solo un calcolo sbagliato. Anche Francia e Inghilterra consentirono che Hitler riarmasse la Renania e denunciasse il Trattato di Versailles, ma questo non vuol dire però che allora Hitler avesse ragione. Certo, a trattare con una banda di assassini si commettono degli errori, ma vorrei vedere chiunque altro ad avere a che fare con Hamas…
Insomma, io penso che si debba stare con i piedi bene a terra per affrontare questioni così drammatiche, che non c’è spazio per i buoni sentimenti. Questo è il punto, bisogna essere animati da uno spietato realismo, perché soltanto così si può contribuire alla ricerca di una vera via per uscire dalle questioni drammatiche. Pensare di distinguere i palestinesi da Hamas a Gaza a mio avviso è semplicemente pazzesco.
Poi intendiamoci: quello che sto dicendo a te lo si potrebbe dire a tanta parte dei commentatori italiani, è una questione troppo drammatica, fin dall’inizio finita su un binario morto. Fin dal momento, cioè, che trecentocinquantamila palestinesi, cacciati da Israele, non sono stati volutamente accolti e integrati nell’enorme mondo arabo. I governi di quei disgraziati paesi, a cominciare dalla Giordania e dall’Egitto, hanno voluto che fossero e rimanessero profughi, inchiodandoli lì nei campi appositi. E le Nazioni Unite hanno accettato tutto questo riversando lì un fiume di soldi. Così la questione si è incancrenita. Trecentocinquanta, quattrocentomila persone era più o meno il numero dei profughi italiani dall’Istria i quali, in dieci anni circa, sono stati completamente assorbiti da un paese di cinquanta milioni di abitanti qual era l’Italia, un paese, cioè, minuscolo rispetto al mondo arabo e islamico. Che cosa impediva che quei trecentocinquantamila profughi palestinesi, con cui condividevano la lingua e tutto il resto, venissero integrati appunto nell’enorme vastità di tredici stati islamici, dall’Iran al Marocco? Niente, se non un freddo calcolo politico dettato da una forma di antisemitismo islamico nei confronti degli ebrei che avevano osato stabilirsi su un pezzo di terra dell’islam.
Diciamo la verità, loro non hanno mai accettato la presenza di Israele. E da lì è nato poi tutto quello che vediamo oggi. Allora queste premesse vanno continuamente ricordate perché non sono indifferenti nel capire il motivo per cui un Netanyahu vince le elezioni. Qui torniamo alla domanda che la sinistra, buona per definizione, dovrebbe sempre porsi: come mai le elezioni poi le vincono i cattivi?
Non puoi fare nessun ragionamento politico reale se non rispondi a questa domanda cruciale.
D:
Riguardo al problema dell’uso della forza, su cui hai scritto sul “Corriere”; premesso che la forza è una buona cosa -nessuno desidera la debolezza- la domanda da farsi è se l’uso della forza non debba sempre accompagnarsi sia a una misura -che può essere morale e politica- sia a un obiettivo, a una prospettiva. è così in tutti gli ambienti e anche nella vita quotidiana. Per esempio la Germania, per quello che aveva fatto, forse si meritava la cosiddetta “arcadizzazione” che qualcuno proponeva. Ma non è stata realizzata… A Gaza qual era l’obiettivo che rendeva necessaria una distruzione così vasta?
R:
Ma siamo sempre lì: se non ci fossero stati quei bombardamenti si sarebbe arrivati al rilascio, sia pure centellinato, degli ostaggi? Non lo so. Forse Hamas avrebbe potuto addivenire a una tregua anche a ventimila morti. Si poteva risparmiare qualche bombardamento sulla Germania? Quel che è certo è che soltanto dopo che mezza Germania era stata rasa al suolo è stato possibile convincerli a farla finita e a firmare la resa. Si sarebbero potute evitare Dresda e Amburgo? Non lo sappiamo.
D:
Ma per gli Alleati c’era una prospettiva. Qui la prospettiva però non si sente mai. Solo una prospettiva può giustificare una punizione terribile…
R:
No, gli alleati inizialmente non avevano altra prospettiva che quella di vincere e di dividere la Germania come poi hanno fatto. Poi, lentamente, in presenza della Guerra fredda, hanno avuto l’idea di mettere insieme le tre zone occidentali e costituire la Germania Ovest. Ma tornando a Israele e alla Palestina, c’è un problema che andrebbe ben chiarito, e cioè che per fare una pace bisogna trattare. Con chi dei palestinesi? Oppure bisogna trattare con l’Iran, che sarebbe un po’ diverso. E l’Iran si siederebbe mai a un tavolo della pace con Israele? Ma è l’Iran che inonda i palestinesi di sostegno, di finanziamenti, di armi.
Il dramma dei palestinesi è che non sono riusciti in cinquant’anni a esprimere una leadership autonoma, sono stati sempre alle dipendenze di qualcuno che gli passava un assegno mensile. Questo è il loro dramma, la mancanza, cioè, di maturità politica. Forse l’unico che ci ha provato è stato a suo tempo Arafat, e però cosa ha fatto? Ha cercato di abbattere il regno di Giordania con Settembre nero, ma neanche lui è riuscito a far crescere un movimento nazionale palestinese capace di combattere i propri estremisti. Ben Gurion combatté l’Irgun, addirittura arrivò a denunciare agli inglesi i suoi appartenenti quando sapeva che stavano preparando degli attentati.
È questo che ti dà la maturità politica di un movimento nazionale. Allora perché non si deve parlare anche della tragica immaturità politica dei palestinesi? L’autorità palestinese è corrotta e non rappresenta più nessuno. Per colpa di Israele? Bisogna dire sempre che Israele ha un governo reazionario, ma non si vede chi c’è al governo dall’altra parte. Qual è la guida politica dall’altra parte? Hamas è una banda di assassini, l’Autorità Palestinese è corrotta. Allora con chi devi trattare? Questa soluzione di due popoli, due stati, ma con chi la fai?
Sai che non c’è nessun documento, di nessuna organizzazione politica palestinese, in cui ci sia la richiesta dei “due popoli, due stati”? Due popoli, due stati è una formula inventata dalla diplomazia e dall’opinione pubblica occidentale e israeliana. Mai i palestinesi hanno chiesto l’esistenza di due stati, perché questo significherebbe riconoscere Israele e chi riconosce l’esistenza di Israele è un traditore. È una situazione maledettamente avvelenata e non si può risolvere dicendo che la destra è cattiva e la sinistra è buona. È questo che rimprovero a certe posizioni: un moralismo disarmante, che poi non serve. Ci servono soltanto cose concrete, vere, realistiche.
D:
Concludiamo ritornando alla domanda che dovremmo farci: perché vince Netanyahu?
R:
Negli anni scorsi quasi un giorno sì e uno no, i telegiornali davano la notizia di qualche decina di missili buttati su Israele e poi passavano ad altro, come se fosse una cosa normale per un paese ricevere una scarica di missili e razzi. Ma ti rendi conto? Poi, certo, lì hanno quel sistema quasi perfetto di protezione anti-missilistica, ma insomma, però ogni volta…
D:
Comunque gli sfollati c’erano.
R:
Gli sfollati c’erano e ogni volta le sirene suonavano…
Una parente degli ebrei uccisi nel ’44 a Forlì, venuta qualche anno fa da Israele per la cerimonia dell’anniversario, viveva lì, dove arrivavano i razzi di Hamas, e ci raccontò che la vita era diventata molto difficile… Ma questa è una cosa che cambia. Noi non ne teniamo conto, ma nella realtà, sul terreno, c’è una popolazione che ne tiene conto e quando decide per chi votare ci pensa.
Da ultimo voglio dire una cosa su cui so che siamo d’accordo: tutto quello che è successo ha dato la possibilità a un certo antisemitismo latente o meno latente di venire fuori alla grande. Questo è sotto gli occhi di tutti e anche voi, appunto, l’avete denunciato. Tu capisci, però, che questo tipo di informazione “buonista” che tende a essere tutta antisraeliana può favorire l’antisemitismo, questo tipo di antisemitismo. Basta, non ho più altro da dire.
D:
Va bene, ci fermiamo qui?
R:
Non lo so, sì. Insomma, è difficile calarsi in una situazione così. Tu sei mai stato in Israele?
D:
No.
R:
Io ci sono stato a varie riprese, la prima volta nel ’71-’72. Era un altro paese sicuramente, dove capitava di incontrare e conoscere situazioni e persone incredibili. Sono stato in un kibbutz di ebrei socialdemocratici tedeschi emigrati negli anni Trenta che, per spirito internazionalista, avevano intitolato il loro kibbutz a Leon Blum. Si chiamava infatti Kfar Blum ed erano anche persone di una certa età, come si può capire.
Ebbene, pensa che loro ricevevano i risarcimenti dal governo tedesco perché molti di loro avevano avuto parenti sterminati, e metà di questo finanziamento lo davano a un villaggio palestinese che stava lì di fronte. Erano rimasti fedeli all’idea dell’internazionalismo socialista. E poi l’altra metà per che cosa la spendevano? In una fantastica biblioteca ed emeroteca. Siccome gli ebrei di quella generazione parlavano tutti cinque o sei lingue, nella loro sala comune avevano un numero di abbonamenti di giornali di tutto il mondo che non trovavi neanche in una biblioteca italiana di prim’ordine. Israele era questo. E però anche lì, a Kfar Blum, giravano tutti quanti con il mitra sotto il braccio, anche lì c’erano delle reti, dei fili spinati. E si capiva che i vecchi, da buoni socialisti internazionalisti, non amavano vedere i loro figli armati, però capivano che era necessario. Per i bambini, poi, avevano costruito un mini kibbutz montessoriano, con le camerette e gli arredamenti piccoli, in cui i bambini vivevano per conto loro e si autogestivano e soltanto per tre, quattro ore al giorno i grandi andavano dai loro figli in questo mini kibbutz. Sembrava proprio un altro mondo. Mi piacerebbe sapere che cosa ne è di quel kibbutz. Oggi Israele è molto cambiata, perché sono arrivati i russi, sono arrivati gli ebrei dei paesi arabi, è tutto cambiato…
Insomma, lo ripeto di nuovo, è una situazione così maledettamente complicata, che non sopporta la semplificazione.
(a cura di Gianni Saporetti)