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FUORI DAL PRIDE

FUORI DAL PRIDE

Raffaele Sabbadini

Tante sono le maschere dietro cui si cela l’antisemitismo ma questa volta, per noi ebrei LGBTQ+, la sorpresa è stata particolarmente pesante. Dal 7 ottobre l’antisemitismo si è risvegliato proprio dove mai avrebbe potuto o dovuto farlo e mi riferisco a quello che è successo nei movimenti per i diritti.

Già da novembre, noi di Keshet Italia abbiamo iniziato a denunciare le prime mosse dell’antisemitismo all’interno del movimento LGBTQ+ con una lettera aperta a tutte le organizzazioni, preoccupati che l’odio crescente sui social iniziasse ad attecchire anche nel nostro movimento.

La risposta delle organizzazioni è stata purtroppo molto flebile e la sottovalutazione cosciente o incosciente di questa problematica sta arrecando danni al movimento stesso.

Poi, con l’8 marzo, abbiamo visto come anche una parte del movimento femminista abbia voluto ignorare gli stupri di massa del 7 ottobre, e anche questo lo abbiamo segnalato con un’altra lettera aperta delle nostre militanti femministe.

Arriviamo ora al mese del Pride, sempre tanto atteso, da noi come in tutto il mondo, perché è da tempo il momento in cui rivendichiamo le nostre identità e i nostri diritti ancora negati.

Abbiamo fatto e tentato di tutto per capire anche con gli organizzatori se si potesse partecipare in sicurezza, ma alla fine abbiamo dovuto arrenderci, e non ci saremo, a causa dei crescenti timori di aggressioni dovuti al clima d’odio attorno alla nostra partecipazione. Ci duole ad esempio che il Bergamo Pride abbia scritto che “nella piazza del 15 giugno non saranno gradite bandiere israeliane o inneggianti alla simbologia connessa allo stato di Israele”, il che è una vera e propria discriminazione. Di questo qualcuno si è accorto e mi riferisco in particolare al Comune di Bergamo, guidato da Giorgio Gori, che ha stigmatizzato “l’intolleranza dell’Associazione Bergamo Pride nei confronti di bandiere e simboli di Israele, che travalica la condivisibile contestazione dei comportamenti del governo di quel Paese e configura una discriminazione verso un popolo e il suo legittimo Stato”

Come Keshet Italia lo abbiamo scritto con amarezza nel nostro comunicato: “È normale che in una comunità così attenta al linguaggio, che valorizza l’inclusività, le esperienze individuali e la creazione di spazi sicuri, si faccia uso di un linguaggio che fomenta un clima d’odio verso parte della comunità stessa?”. Purtroppo il linguaggio usato da diverse organizzazioni queer o di alcuni Pride per parlare del conflitto in corso tra Israele e Hamas non può convivere con i principi lungamente ponderati nella comunità LGBTQ+ stessa.

È assolutamente legittimo criticare la guerra, ma l’uso inappropriato di termini come sterminio, pulizia etnica, genocidio e il confondere un governo con un paese intero o peggio con tutti gli appartenenti a una religione che hanno il Magen David sulle bandiere o addosso, è qualcosa di inaccettabile e contribuisce a generare il clima avvelenato di cui parliamo e su cui stiamo chiedendo a tutti una profonda riflessione.

È vero che siamo una minoranza di un’altra minoranza, ma nel movimento LGBTQ+ non ci siamo sentiti mai così isolati. Per questo facciamo appello a tutti i componenti della comunità queer: riflettete e superate i vostri pregiudizi, noi siamo sempre gli stessi con le nostre bandiere e i nostri simboli e vogliamo continuare a combattere liberi di esprimerci, senza costrizioni o paure come dovrebbe essere sia nei Pride che quando siamo insieme nel movimento.


Raffaele Sabbadini è presidente di Keshet Italia – Gruppo Ebraico LGBTQ+