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ISRAELE: DIECI BUGIE PER DIECI GIORNI #2

ISRAELE: DIECI BUGIE PER DIECI GIORNI #2

Nicoletta Tiliacos

Dopo il 7 ottobre 2023, di fronte all’ondata di antisemitismo che percorre le società occidentali e contagia le giovani generazioni, è sempre più necessario smontare le menzogne sullo Stato ebraico, tese a negarne lo stesso diritto all’esistenza. Nel pamphlet intitolato “Le dieci bugie su Israele”, la giornalista e scrittrice Fiamma Nirenstein analizza i più deleteri luoghi comuni dell’odio antiebraico e antisraeliano, confutandoli uno per uno e smascherando le manipolazioni della realtà su cui si fondano. 
Setteottobre ringrazia l’autrice, che ha accettato di mettere a disposizione del nostro sito questo suo prezioso lavoro, e la Federazione delle Associazioni Italia-Israele, che nell’aprile 2024 ne ha pubblicato e diffuso gratuitamente la versione cartacea.

È possibile scaricare gratuitamente il libro di Fiamma Nirenstein nella versione completa sul sito della Federazione delle Associazioni Italia Israele.

Bugia n. 2: Il termine Palestina e il fondamentodello Stato palestinese

Fiamma Nirenstein

Il nome Palestina, dato dai Romani per indicare una delle province del loro Impero, non ha nulla a che vedere con una nazione preesistente, ma con un popolo fra i tanti che raggiunsero le sponde di Israele dal Mediterraneo e che non si identifica con l’attuale popolo palestinese. Già estinto da secoli all’epoca dell’imperatore Adriano, il popolo era quello dei Filistei, di origine egeo-cretese, certamente non araba. Gli arabi di Palestina provenivano essenzialmente dalla Siria e dalla Giordania e divennero un numero considerevole solo dopo la nascita del sionismo. Persino i leader arabi includevano la Palestina nei territori della “Grande Siria” e i palestinesi aumentarono di numero provenendo dai vari Paesi circostanti solo quando i pionieri sionisti aprirono le porte del lavoro in quella terra abbandonata, che mai nessuno aveva curato prima di loro, innanzitutto prosciugando le paludi portatrici di malaria col sudore della fronte di tanti immigrati, come fecero per esempio i genitori di Ytzhak Rabin. Più del 90 per cento degli arabi della zona immigrarono durante le prime Alyoth, le immigrazioni di massa di ebrei iniziate nel 1880, contemporaneamente e indipendentemente, sia dallo Yemen che dall’Europa. Non c’è differenza etnica o storica fra la massa araba del Paese e quelle delle 22 nazioni arabe della zona. Storicamente, non è mai esistito uno Stato palestinese. Se vuole finalmente decidersi a esistere, deve trattare con Israele i suoi confini. Questo comporterebbe appunto la famosa decisione, ormai quasi una formula magica per auspicare una soluzione del conflitto, di disegnare due Stati per due popoli, ovvero di procedere alla fondazione di uno Stato palestinese.

Dopo il 7 ottobre, l’amministrazione Biden, l’ONU, l’Unione Europea e alcuni alleati arabi vorrebbero quindi disegnare una soluzione del conflitto basandola su una realizzazione immediata della “two state solution”. Ma la realtà, che si mostra spietatamente a chi verifica la realtà della situazione, è che i palestinesi stessi non mirano affatto a questa soluzione, ma disegnano i loro confini e le loro speranze nella prospettiva di distruggere Israele e di sostituirlo completamente dopo averlo cancellato “from the river to the sea”. Il leader di Hamas Khaled Mashal ha espresso molto esplicitamente l’atteggiamento palestinese: «Dopo il 7 ottobre c’è una rinnovata speranza per una Palestina “dal fiume al mare”, dal nord al sud… rifiutiamo la soluzione “due Stati per due popoli” perché ciò ci richiederebbe il riconoscimento della legittimità dell’entità sionista, e questo è inaccettabile». Questa posizione è sostenuta dalla maggior parte dei palestinesi, che richiesti di pronunciarsi sulle atrocità del 7 ottobre, plaudono al massacro per il 72 per cento (inclusi gli stupri, le decapitazioni, i rapimenti etc.), mentre il 74,7 per cento desidera uno Stato che soppianti completamente Israele.

La radicalizzazione scelta dai palestinesi, non solo di Hamas ma anche di Fatah, nell’educazione dei bambini, che vengono cresciuti nel culto della violenza e nell’idolatria degli shahid, i “martiri” terroristi delle cui immagini sono tappezzate le scuole e le mura delle città, mentre nei corsi estivi e negli spettacoli televisivi si propagandano i più bassi stilemi dell’antisemitismo classico, rendono molto difficile immaginare un rapporto di buon vicinato con uno Stato palestinese. Il governo dell’Autorità Palestinese, dopo il 7 ottobre, spende ancora circa 2,8 milioni di dollari al mese per gli stipendi dei terroristi di Hamas, ora nelle prigioni israeliane, che hanno perpetrato il massacro presso Gaza. L’ANP non ha mai condannato l’attacco, e dalle sue città seguitano ad arrivare senza sosta, a decine, attacchi letali contro innocenti cittadini israeliani. Dai caffè di Tel Aviv alle strade di Gerusalemme, alle pompe di benzina di Eli: nessuno è sicuro in Israele e, quando parlano di “occupazione”, tutti i leader palestinesi in realtà si riferiscono all’intero territorio di Israele, che essi colpiscono indiscriminatamente. La fiducia che, dal tempo degli accordi di Oslo, ha consentito di creare una polizia comune fra Autorità Nazionale Palestinese e Israele, viene spesso violata dall’uso delle armi da parte dei poliziotti palestinesi per compiere attentati terroristici. Chiedere oggi a Israele di dare fiducia a uno Stato palestinese nei limiti e con regole stabilite unilateralmente, oltre a violare e distruggere definitivamente gli accordi di Oslo avrebbe l’unica caratteristica di dare ai palestinesi un premio in riconoscimento, fondi, aiuti internazionali, supporto generale, come risultato, conseguenza, premio, della mostruosa operazione condotta da Hamas il 7 ottobre: si è detto, motteggiando l’idea, che Sinwar diventerebbe così il Ben Gurion del popolo palestinese. Solo un negoziato diretto, come stabilito dall’ONU e poi dagli accordi di Oslo, può aiutare un riavvicinamento delle due parti. Ma questo potrà succedere solo dopo che Israele avrà tolto ai palestinesi, sconfiggendo Hamas, ogni velleità di distruggere lo Stato Ebraico. Uno Stato palestinese deve nascere per la pace e non per una nuova guerra, che sarebbe sempre più letale, quindi la sua demilitarizzazione e la sua deradicalizzazione devono essere garantite. Sia la Germania che il Giappone, dopo la Seconda guerra mondiale, hanno potuto ricostruire la loro prospettiva storica come Stati democratici, ma questo è avvenuto solo dopo la loro resa incondizionata e una lunga “ricostruzione”, che ha visto il completo smantellamento delle leadership di guerra. La violenza è stata sradicata dal loro sistema educativo, così come l’uso delle armi.