OCCHIO AI BRICS
Umberto Ranieri
Si è concluso in Russia, a Kazan, il vertice dei Brics, il gruppo di paesi che prende il nome dall’acronimo (coniato da un economista di Goldman Sachs nel 2001) dei cinque paesi fondatori: Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica. Il primo vertice da quando il gruppo si è allargato a Egitto, Etiopia, Iran ed Emirati Arabi. L’Arabia Saudita ha partecipato ai lavori pur non avendo ancora chiesto di farne parte mentre la Turchia intende aderire formalmente. Un gruppo tenuto insieme dalla insoddisfazione per l’asimmetria tra la crescente forza demografica ed economica di paesi del Sud Globale e lo strapotere occidentale nella rappresentanza delle principali istituzioni internazionali. Una insoddisfazione divenuta con il trascorrere degli anni una contestazione dell’ordine internazionale dell’ultimo trentennio. L’obiettivo è creare un contrappeso all’Occidente negli affari globali. L’aspirazione si fonda su un dato della realtà: il mondo è profondamente cambiato dai tempi di Bretton Woods. I pesi relativi tra l’Occidente e il Sud del mondo si sono modificati. Alcune cifre relative ai Brics sono impressionanti: il 45% della popolazione del pianeta, oltre un quarto della superficie terrestre, quasi il 36% del Pil mondiale. La globalizzazione della economia ha favorito la crescita della Cina, dell’India e degli altri Paesi inclusi nell’acronimo Brics ma è tutto il “Sud Globale” che pone il problema di contare maggiormente. I Brics, tuttavia, non condividono una chiara agenda politica. Non sono un mondo compatto. L’India è parte dei Brics ma anche del Quad, l’intesa in chiave anticinese con Stati Uniti, Giappone e Australia per la sicurezza nell’Indo-Pacifico. Il Brasile e l’India erano presenti al vertice del G7 in Italia nel 2024. L’Arabia Saudita è stata invitata a unirsi ai Brics nel 2023 ma negozia con Washington un nuovo patto di difesa. Esistono Stati che volutamente evitano di schierarsi o, meglio, che si schierano su fronti diversi secondo l’occorrenza. La Turchia è membro della Nato, vende droni all’Ucraina di cui sostiene la integrità territoriale ma mantiene buoni rapporti politici ed economici con Mosca. I Paesi del Golfo intrattengono strettissimi legami soprattutto militari con Washington ma collaborano con Mosca nella Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio. Il vertice di Kazan non ha fatto alcun passo avanti nel gettare le basi di un sistema comune di pagamenti interbancari alternativo a quello euro americano basato sul dollaro. Un sistema che consentirebbe a Putin di aggirare le sanzioni. Brasile e India non intendono entrare in conflitto con gli Stati Uniti. Il motore dell’allargamento dei Brics sono Russia e Cina che vorrebbero dare vita ad un sistema alternativo a quello fondato sulle istituzioni di Bretton Woods: Fondo monetario internazionale, Banca Mondiale, Organizzazione mondiale del commercio. A partire dalla grande crisi del 2008 i dirigenti cinesi sostengono che il loro modello autoritario è superiore alle liberaldemocrazie occidentali: la sfida resa esplicita nella dichiarazione russo-cinese del 4 febbraio2022, dove si dice “il liberalismo è morto. Noi siamo il futuro”. La competizione dell’Occidente e in particolare degli Stati Uniti con la Cina e la Russia è un aspetto della realtà contemporanea destinato a durare e dal quale potranno continuare a nascere rischi da non sottovalutare. Ma il mondo dell’autocrazia è realmente in grado di indicare una alternativa alla leadership dell’Occidente nella governante globale? Regimi che controllano la magistratura, gettano in prigione chi si oppone o solleva dubbi e critiche, sarebbero in grado di forgiare un nuovo ordine internazionale? In ogni caso non c’è da prendere sottogamba l’esperienza dei Brics. Di fronte alla complessità del mondo, alla realtà del “Sud Globale” che chiede di contare, si accrescono le responsabilità dell’Occidente. Vanno costruite convergenze con i Paesi oggi scettici sulla credibilità degli Usa e dell’Europa ma alleati indispensabili per limitare l’espansionismo cinese e l’avventurismo russo. Va data priorità alle questioni al cuore delle preoccupazioni dei paesi del Sud Globale: investimenti, tecnologie, energia pulita. Non è più rinviabile concordare un nuovo sistema di regole che coinvolga i temi monetari, finanziari e del commercio internazionale. La crisi finanziaria globale del 2007/2009 è stata una dimostrazione lampante della necessità di rafforzare la cooperazione in materia di regolamentazione finanziaria. È necessaria una riforma delle organizzazioni internazionali, modificare le modalità di voto e le altre fonti di influenza nelle istituzioni globali. Anche il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite va riformato per accrescere la rappresentatività di questo organo. Opereranno in questa direzione Stati Uniti e democrazie liberali? È la via obbligata per riconquistare credibilità, accrescere interesse tra gli alleati, suscitare fiducia tra i paesi emergenti soprattutto asiatici e africani, gli stessi di cui la Cina prova a farsi portavoce.
Scrive Martin Wolf a conclusione del suo lavoro su “La crisi del capitalismo democratico”, “viviamo un momento di grandi paure e deboli speranze. Per trasformare queste deboli speranze in realtà, dobbiamo riconoscere le insidie e contrastarle subito. Se falliremo, ancora una volta la luce della libertà politica e individuale potrebbe spegnersi nel mondo”.