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SETTEOTTOBRE: L’ESPRIT DU TEMPS – Eugenia Roccella

SETTEOTTOBRE
L’ESPRIT DU TEMPS

Tra poco sarà un anno dal pogrom con cui Hamas ha dichiarato guerra a Israele e all’Occidente. L’Associazione Setteottobre, nata in Italia per combattere l’antisemitismo risorgente nelle nostre società, ha deciso di avviare una riflessione su che cosa è cambiato, dopo il 7 ottobre del 2023, nelle nostre vite individuali e nella vita collettiva.


Eugenia Roccella

C’è un odio degli altri che nasconde in realtà l’odio di sé, e si fonda su una cieca e pericolosa inconsapevolezza. È racchiusa in questa amara realtà la chiave interpretativa della furia ideologica anti-ebraica e anti-israeliana che alligna in un Occidente ignaro della propria storia e iconoclasta rispetto alle proprie radici, alla propria identità, e infine al proprio stesso destino. Un anno dopo l’attacco terroristico di Hamas, dobbiamo fare i conti con un sentimento antioccidentale che speravamo fosse rimasto sepolto sotto le macerie delle torri gemelle.

È un fatto, questo, che trascende opinioni politiche e posizioni geopolitiche, e persino le analisi sui conflitti in corso. È un sentimento diffuso, una patologia dalle radici profonde, che il 7 ottobre, con la sua verità cancellata, ha reso drammaticamente evidente.

Nella nuova ondata di antiebraismo virulento che stiamo attraversando si mescola il vecchio e il nuovo. Riconosciamo le liste di proscrizione, le parole d’ordine vergognose che corrono da un ateneo all’altro e da lì nelle strade e nei cortei, i boicottaggi insensati e le azioni dimostrative. Riconosciamo la negazione della realtà dei pogrom, degli stupri di massa, rivendicata come libera opinione. Ma questa volta c’è di più, qualcosa di diverso che si intreccia e si aggiunge alle striscianti pulsioni antiebraiche mai veramente sconfitte.

È la nuova cultura woke, che suddivide il mondo tra vittime e oppressori, dominati e dominanti, cancellando e appiattendo ogni articolazione e complessità della realtà storica. Ma, anche se si accettasse questa schematica e ingiusta divisione, verrebbe da chiedere: chi più degli ebrei è identificabile storicamente come “vittima”? Dopo aver ripetuto, in occasione di ogni Giornata della Memoria, il ritornello del mai più, come è possibile che non si riconosca, in questa nuova “caccia all’ebreo”, come l’ha definita Pierluigi Battista, l’evidenza di un atteggiamento culturale terribile, pericoloso, già vissuto? Come è possibile, per esempio, che si rovesci l’accusa di genocidio su chi l’ha subito, o che si arrivi ad esaltare le azioni di Hamas, a non voler liberare il popolo palestinese dal dominio di un’organizzazione terroristica?

La stessa cecità nei confronti della propria storia e del proprio futuro si proietta, e questo è forse il lato più assurdo della questione, sui popoli e sulle persone che si pretende di difendere. Non si vede, o non si vuole vedere, l’oppressione in cui vivono i palestinesi e soprattutto le donne o il mondo LGBTQIA+, sotto i mitizzati guerriglieri di Hamas o Hezbollah, non si vedono, o non si vogliono vedere, certe (pur contenute, perché rischiose) manifestazioni di giubilo di fronte alla morte di Raisi o di Nasrallah in Siria, Iraq, Libano.

Gli studenti che occupano le università, impediscono i dibattiti, censurano, aggrediscono, cacciano dalle manifestazioni chi sostiene le ragioni di Israele, o semplicemente chi è ebreo, dovrebbero assistere alla proiezione del documentario girato da Sandberg, Screams before Silence. Non solo per ricordare quello che è avvenuto quel giorno, la ferocia lucidamente perseguita, la volontà di umiliare e straziare le donne. Ma per vedere, alla fine del filmato, i volti di quelle ragazze e ragazzi. Siete voi. Siamo noi.


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