SETTEOTTOBRE
L’ESPRIT DU TEMPS
Tra poco sarà un anno dal pogrom con cui Hamas ha dichiarato guerra a Israele e all’Occidente. L’Associazione Setteottobre, nata in Italia per combattere l’antisemitismo risorgente nelle nostre società, ha deciso di avviare una riflessione su che cosa è cambiato, dopo il 7 ottobre del 2023, nelle nostre vite individuali e nella vita collettiva.
Gabriella Pinnarò
Anche se non sono ebrea. Anche se sono femminista, o meglio solidale, quasi sempre, con l’approccio delle donne all’interpretazione del mondo. Anche se la mia prima opzione sarebbe quella pacifista (diciamo la verità, molto meno impegnativa). Anche se giovanilmente non mi è stato estraneo il vessillo “yankee go home”, o “fuori la Nato dall’Italia, fuori l’Italia dalla Nato”… non solo sto con Israele senza se e senza ma (espressione che comunque non amo), ma mi sento mortificata dalla selettività della memoria.
Pensavo che il raccapriccio per il massacro del 7 ottobre non avrebbe più abbandonato le nostre coscienze e lo sguardo sul dramma del Medio Oriente. Temevo quasi che migliaia di giovani sarebbero stati segnati per sempre, indelebilmente, dalle immagini drammatiche dei loro coetanei dilaniati.
E invece… cosa c’è dietro l’apparente banalità della rimozione? Cosa, dietro la derubricazione del 7 ottobre dalla famosa agenda dei media? Interpretazioni controverse, partigianeria militante che torna alla ribalta solo a ridosso di un nuovo attacco o di una incursione prevedibile.
L’Esprit du temps: speravo che l’espressione scelta per questa raccolta di testimonianze, fosse, nella sua leggerezza semantica, almeno di buon auspicio.
Così non è stato. I vissuti personali sono malinconicamente e drammaticamente molto simili tra loro. La memoria, come la natura, non può fare salti interpretativi, non può che sbriciolarsi nel racconto di sé, come tra le macerie.
Israele e gli ebrei sono, al più, fastidiose spine nel fianco. Non ci si libera, anche molto accanto a noi, da un retropensiero sospettoso, quello che ha segnato persino l’11 settembre, persino la Shoah. Non si perdona o non si ha benevolenza, la pietas è obnubilata. Un popolo troppo orgoglioso, troppo forte per spezzarsi, piagato ma non piegato, mette troppo in discussione le anime belle.
Ricordo lo stupore critico col quale guardavo e censuravo la velocità alacre con cui si cancellavano tutti i segni di attentati recenti, davanti al pub o su un marciapiede a Tel Aviv: il nostro autobus di “Appuntamento a Gerusalemme” passava senza indugiare, mentre la voce grave ma imperturbabile di Angela Polacco spiegava che il rallentamento era dovuto ai lavori stradali per cancellare sangue o lembi dei corpi. Testimonianze di ciò che era avvenuto solo due ore prima. Nessun pietismo, nessuna captatio benevolentiae… E poi Angela passava a segnalare il magnifico ponte o, ancora di più, il miracolo dell’ingegneria idraulica e botanica che aveva reso fertile, innaffiato, drenato, produttivo il deserto appena fuori dalla città. Tutti segni, “insopportabili”, di una capacità di sopravvivenza quasi sfrontata, di una professionalità indefessa, di un orgoglio genealogico.
Ecco, forse tutto ciò non si perdona a Israele e rende la memoria piena di rabbia.
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