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SETTEOTTOBRE: L’ESPRIT DU TEMPS – Giampiero Massolo

SETTEOTTOBRE
L’ESPRIT DU TEMPS

Tra poco sarà un anno dal pogrom con cui Hamas ha dichiarato guerra a Israele e all’Occidente. L’Associazione Setteottobre, nata in Italia per combattere l’antisemitismo risorgente nelle nostre società, ha deciso di avviare una riflessione su che cosa è cambiato, dopo il 7 ottobre del 2023, nelle nostre vite individuali e nella vita collettiva.


Giampiero Massolo

Il 7 ottobre è un punto di svolta. Lo è sul piano delle percezioni soggettive: se non è sicuro lo Stato d’Israele all’interno dei propri confini, non lo siamo neppure noi, democrazie occidentali. Si materializza l’incubo della compromissione totale del nostro comune sistema valoriale, stuprato dalla violenza cieca del terrorismo islamico. Ci sentiamo violati come persone, come famiglie, come figli, come genitori, attraverso il dolore immenso che colpisce all’improvviso, senza preavviso né motivo, famiglie, genitori, figli di chi è nostro fratello. E poi ancora, la ricerca di una reazione, di un modo per ristabilire valori e giustizia, che non abdichi alla nostra civiltà.

Così com’è legittima, anche giuridicamente, sul piano delle iniziative politico-militari, la rappresaglia e la difesa, l’affermazione di una nuova deterrenza, la messa in sicurezza dei confini, perché quanto è accaduto possa non ripetersi più. È una svolta anche questa, motivata nelle strategie politiche e nelle modalità di reazione e repressione.

Gli Stati d’animo e la razionalità finiscono inevitabilmente per sovrapporsi. Ma proprio da questa sovrapposizione scaturisce il rischio che il terrorismo jihadista sfrutti l’affastellarsi di emozioni e reazioni per raggiungere il suo vero scopo: screditare Israele e con esso il concetto, i valori stessi della democrazia occidentale, che comprendono responsabilità e rispetto della vita umana. Occorre lucidità. Sono due soprattutto i timori.

  Il primo riguarda la delicatezza di un limite tanto facile quanto pericoloso da valicare: quello, labilissimo, tra antisionismo e antisemitismo. Hamas colpisce anche per confondere questo limite. Per sfruttare la reazione israeliana onde mettere in discussione, agli occhi delle opinioni pubbliche mondiali, non tanto il comportamento sempre legittimamente criticabile di un Governo, quanto la reazione, il sentimento, l’animo di un popolo intero. Per il solo fatto di essere ebraico. Confondere per primi noi il confine, fa il gioco dei terroristi. Trasforma nella negazione del diritto ad esistere, il loro cinico calcolo di potere. Eppure rischia di avvenire. Controproducente prestarsi.

  Il secondo timore concerne gli obiettivi della guerra e il ‘dopo’. La storia e l’esperienza politica ci dicono che, sul piano dei principi, il conflitto israelo-palestinese non ha verosimilmente una soluzione possibile. Si tratta, al più, di mitigarlo e di propiziare le migliori condizioni di sicurezza possibili sul terreno. Prolungare la guerra indefinitamente, alla ricerca di una sconfitta definitiva di Hamas è rischioso. Si può decapitare momentaneamente un movimento terroristico, non sconfiggere un atteggiamento culturale, uno stato d’animo nel quale indulgono in molti e che tende a replicarsi. Se non si stabilisce un obiettivo concreto e realizzabile, si rischia l’accusa di essere noi i primi a non voler dare un esito alla guerra in corso. Si rischia di non salvare la vita degli ostaggi. Di moltiplicare le vittime civili. Si rende difficile ai Paesi arabi moderati di proseguire sulla via degli accordi con Israele, unica via pragmatica per stabilizzare e mettere più in sicurezza la Regione. Eppure sta avvenendo.

  La tragedia del 7 ottobre, densa com’è di emozioni e di conseguenze politiche, rende difficile far prevalere i motivi della ragione su quelli del cuore. Non possiamo tuttavia sottrarci. Per noi stessi e per ciò che lasceremo alle generazioni future.


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