L’ESPRIT DU TEMPS
Tra poco sarà un anno dal pogrom con cui Hamas ha dichiarato guerra a Israele e all’Occidente. L’Associazione Setteottobre, nata in Italia per combattere l’antisemitismo risorgente nelle nostre società, ha deciso di avviare una riflessione su che cosa è cambiato, dopo il 7 ottobre del 2023, nelle nostre vite individuali e nella vita collettiva.
Giovanni Orsina
Un anno dopo, faccio ancora fatica ad affrontare gli eventi del 7 ottobre. Non è un voler rimuovere, il mio, semmai il contrario: da quel che ho letto e visto mi sono potuto fare un quadro dell’accaduto che nessun ulteriore dettaglio bestiale potrà mai rendere più osceno né indelebile. Poiché quel che ho letto e visto mi è più che sufficiente per comprendere, emotivamente e razionalmente, preferisco non sapere altro.
Ma che cosa ho capito, dunque? Ho capito che il 7 ottobre i terroristi di Hamas hanno voluto dire a tutto il mondo, in maniera inequivocabile, che non considerano gli israeliani esseri umani. Li hanno disumanizzati. I vertici di Hamas hanno scelto consapevolmente, razionalmente questa strategia, dando agli esecutori materiali del pogrom mandato di non porre alcun limite a crudeltà e violenza.E quegli esecutori non si sono posti limiti. L’ordine politico di disumanizzare gli israeliani si è insomma incontrato con una mentalità per la quale, con ogni evidenza, esso era comprensibile e naturale.
La disumanizzazione consapevole del nemico porta il conflitto su un altro livello. Un livello non compatibile con qualsiasi definizione, seppur minima, di civiltà. Incompatibile, in particolare, con la civiltà occidentale, fondata sul valore e la dignità di ogni essere umano. La disumanizzazione del nemico rompe qualunque simmetria, non può mai essere giustificata, in nessun modo e per nessuna ragione. Men che meno può esserlo, agli occhi degli europei, quando riguarda gli ebrei. E sappiamo tutti perché: perché contro gli ebrei si è scatenata la più disumana impresa di disumanizzazione che sia stata compiuta in Europa nell’età contemporanea («Considerate se questo è un uomo … Che muore per un sì o per un no»), e perché il rifiuto di quell’impresa ha rappresentato una delle colonne portanti sulle quali, dopo il 1945, il Vecchio Continente ha potuto ricostruire la propria anima.
Ma, si dirà, nemmeno un bestiale pogrom disumanizzante può legittimare qualsiasi reazione – se non altro perché una reazione particolarmente violenta può disumanizzare a sua volta. È verissimo, anzi ovvio. Ma successivo. Prima bisogna che quel pogrom sia compreso per quello che è, che ne sia riconosciuta l’incompatibilità con qualsiasi nozione di civiltà. Se si è europei, prima bisogna esser consapevoli di quanto la questione ebraica sia essenziale per la propria stessa identità. E soprattutto, prima bisogna darsi il compito urgente di far sì che la disumanizzazione degli ebrei non abbia mai più a ripetersi. Bisogna insomma darsi il compito urgente di far sì che sia garantita – realisticamente, concretamente, senza utopiche fughe in avanti, senza se e senza ma – la sicurezza di Israele.
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