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SETTEOTTOBRE: L’ESPRIT DU TEMPS – Mariastella Gelmini

L’ESPRIT DU TEMPS

Tra poco sarà un anno dal pogrom con cui Hamas ha dichiarato guerra a Israele e all’Occidente. L’Associazione Setteottobre, nata in Italia per combattere l’antisemitismo risorgente nelle nostre società, ha deciso di avviare una riflessione su che cosa è cambiato, dopo il 7 ottobre del 2023, nelle nostre vite individuali e nella vita collettiva.


Mariastella Gelmini

È trascorso quasi un anno da quel maledetto 7 ottobre. Di fronte a quel pogrom pianificato contro donne, uomini e bambini indifesi, colpevoli solo di essere ebrei o di trovarsi sul territorio israeliano, l’opinione pubblica mondiale si schierò dalla parte giusta, dalla parte degli aggrediti, al fianco di Israele. A tutti sembrò chiaro che condannare quella carneficina, difendere gli israeliani da quell’attacco, significava difendere la civiltà dalla barbarie, la vita dalla morte e respingere con forza il riaffacciarsi prepotente nella storia dell’indicibile orrore della Shoah. 

In questi dodici mesi molte cose sono cambiate: è bastato che lo stato di Israele (che per inciso in quei giorni divenne bersaglio del lancio di migliaia di missili provenienti dalla striscia di Gaza, qualcosa di più concreto di una semplice “dichiarazione di guerra”) si organizzasse per una risposta militare finalizzata anche alla liberazione degli ostaggi, perché in ogni angolo dell’Occidente riemergesse un forte sentimento anti-israeliano e perfino antisemita. 

È questo un fatto che deve interrogarci profondamente: oggi gran parte dell’opinione pubblica pare seguire con una certa stanchezza l’evoluzione del conflitto e un’inaccettabile cappa di silenzio è calata sulle ragioni diIsraele in buona parte del mondo occidentale. Una cortina di bugie, ambiguità e di delegittimazione che lascia spazio, purtroppo, a vecchi e nuovi stereotipi.

Ciò non può essere giustificato dalle critiche, sempre legittime in democrazia (perché Israele è una democrazia riconosciuta dalla comunità internazionale), al governo di quel Paese e alle sue scelte. Non è comprensibile né accettabile che si possa mettere sullo stesso piano Israele e Hamas. Abbiamo assistito a manifestazioni di piazza contro Israele, cori e slogan come “dal fiume al mare” o “Intifada per sempre” spesso gridati da inconsapevoli studenti universitari del ricco e democratico Occidente. Non una parola sugli stupri e le altre violenze subite dalle donne israeliane, ad esempio. Abbiamo visto cittadini ebrei di tutto il mondo diventare un bersaglio. La kippah e la stella di David meglio non esibirle, dinanzi a un antisemitismo dilagante che corre veloce anche sul web. Abbiamo visto impedire il libero confronto nelle Università o boicottare collaborazioni di ricerca con alcuni Atenei in quanto israeliani. Abbiamo letto una sorta di lista di proscrizione con i nomi di politici e giornalisti “colpevoli” di sostenere Israele. Abbiamo sentito parlare persino di genocidio, una “bestemmia” per chi, come Liliana Segre, conosce bene il suo vero significato. 

Israele sta combattendo una guerra per la sopravvivenza, perché Hamas ha attaccato Israele e ne minaccia alla radice l’esistenza. Si potrà pure non condividere la strategia militare adottata dal governo israeliano, ma questa fiammata di antisemitismo di ritorno cui assistiamo in tutto il mondo è andata ben oltre ed ha oltretutto aumentato in quel Paese un sentimento di accerchiamento che rafforza la determinazione nella ricerca di soluzioni unicamente militari.

Tutto questo deve interrogare profondamente l’Occidente e le sue classi dirigenti: in primo luogo per la palese ed esibita ignoranza dello stato delle cose di chi o non sa o finge di non sapere dati di fatto inoppugnabili. Come il fatto che Hamas, un’organizzazione terroristica che propugna la distruzione dello stato di Israele, non si è fatta scrupolo di mettere a rischio la vita di migliaia di donne, uomini e bambini palestinesi e di impiegare ingentissime risorse destinate a quelle popolazioni per rifornirsi di missili e armi.

A poche settimane dal primo anniversario dell’azione terroristica di Hamas contro lo Stato israeliano, ciò su cui deve interrogarsi l’Occidente è perché stiamo normalizzando, poco a poco, tutto questo. Per paura? Per Inerzia, indifferenza o cosa? Per quali ragioni parte dei nostri giovani odiano Israele e, in fondo, lo stesso Occidente?

Serve un cambio di rotta. Serve uno sforzo collettivo e una battaglia innanzitutto culturale che investa le scelte quotidiane di ognuno di noi, a partire da quelle delle giovani generazioni. 

C’è un percorso complesso da fare, ma è anche grazie all’impegno di associazioni come Setteottobre se questo cammino oggi appare un po’ meno faticoso.

Per Liliana Segre, “le ragioni del male sono racchiuse nella parola indifferenza, perché quando credi che una cosa non ti tocchi, allora non c’è limite all’orrore”. Le sue parole sono come sempre un bene prezioso. Adoperiamoci per metterle in pratica, ogni giorno.


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