SETTEOTTOBRE
L’ESPRIT DU TEMPS
Tra poco sarà un anno dal pogrom con cui Hamas ha dichiarato guerra a Israele e all’Occidente. L’Associazione Setteottobre, nata in Italia per combattere l’antisemitismo risorgente nelle nostre società, ha deciso di avviare una riflessione su che cosa è cambiato, dopo il 7 ottobre del 2023, nelle nostre vite individuali e nella vita collettiva.
Marina Ortona Ascarelli
Quasi un anno è passato da quel 7 ottobre, data che divide il prima dal dopo, data che per me ha risvegliato ricordi vissuti, raccontati e sfiorati per un soffio dalla mia famiglia, a Tripoli, nel ’67 e ancor prima nel ’45 e nel ’48. Ha risvegliato ricordi precisi in cui ho ritrovato similitudini nel modus operandi di quelle aggressioni incondizionate degli arabi verso gli ebrei, di quei pogrom infami in cui sono stati massacrati donne, bambini, anziani, malati, militari e non, non solo senza pietà, ma anche con una certa cattiveria sadica e macabra, che supera di gran lunga quella dei nazisti. L’odio e la barbarie che sono stati scatenati quel sabato di festa del 7 ottobre 2023 in Israele non ha fatto distinzioni di sorta, ma solo di convenienza per rapire persone “vive” e cadaveri da usare come merce di scambio. Persino i neonati non sono stati risparmiati.
La mia sensazione di sorpresa, prima, di incredulità, dopo, e poi di orrore per quello che avevo visto nelle immagini registrate dagli stessi terroristi palestinesi, credo sia stata provata da molti. Ma è durata poco. E quello che mi ha fatto ancora più male è aver capito, dopo solo un paio di giorni, quanto odio nutrono, non solo in Italia, ma nel mondo intero, persone comuni, giovani, anziani che hanno comunque vissuto la Seconda Guerra Mondiale, professori, giornalisti, amici che non sono più all’improvviso tali verso Israele e verso gli ebrei. Quanto è facile mettersi contro il governo di Israele e così mascherare il proprio antisemitismo che finalmente può avere il suo sfogo, senza paura di essere giudicato e condannato perché soprattutto condiviso con molti. Per me, questa sensazione di non sentirmi al sicuro, di aver paura di rivelare la mia identità ebraica a chi non so come la pensi, è qualcosa che ho già provato in passato. E domandarmi dove potrei eventualmente scappare, non credevo dovessi più farlo, soprattutto qui, in Europa, nella culla dell’Illuminismo di Napoleone, nella società occidentale che mi ha accolto dopo la fuga e dove ci si è abituati, il 27 gennaio, giornata che commemora l’apertura dei cancelli di Auschwitz, a urlare ai quattro venti “Mai più”, slogan che ha perso ormai del suo significato ed è diventato pieno di melassa e falsità.
Autorità, scuole, università, l’’intellighenzia che osanna Primo Levi ogni anno e gli ruba la sua frase più famosa, “Se questo è un uomo” – a indicare il deportato ridotto a numero –, il parlarsi addosso sul nulla, su qualcosa che in realtà non è veramente sentito e non è, quindi, capito dall’anima più profonda: tutto questo mi ha stancato.
Cosa possono capire le nuove generazioni se gli stessi docenti non capiscono la gravità del 7 ottobre? Mi sono sentita persa, abbandonata, ma con una identità ebraica ancora più forte e tenace. È da quando sono andata al liceo statale che non faccio altro che giustificare Israele e il suo operato. Ma quando mi dicono (a prescindere dalle mie personali convinzioni sul Premier israeliano): “ Eh però Netanyahu deve andare a casa!”, e cosa ne pensi di Sinwar? Chiedo io. Molti non sanno neanche chi sia. Come mai? Perché? Perché la stampa e la tv, Internet e l’informazione non hanno fatto il loro dovere come avrebbero dovuto. Perché è più facile giustificare gli errori del nostro passato colpevolizzando gli ebrei, piuttosto che riconoscere che ancora c’è qualcuno che vorrebbe chiudere per sempre il capitolo Israele.
E allora ascolti le solite frasi : “Eh, ma in fin dei conti, gli ebrei, se la son cercata…” o “loro, che hanno patito la Shoa sono passati da massacrati a massacratori…”.
E la storia viene capovolta in men che non si dica. Ma attenzione che le conseguenze possono diventare catastrofiche anche per voi che non siete ebrei, e che siete comunque infedeli per molti musulmani!
Meditate, disse Primo Levi, e ora sono io che gli rubo la frase, meditate che questo è stato. Una più attenta analisi da chi fa questo mestiere la pretendo. L’onestà giornalistica di come si dovrebbe riportare una notizia mettendo al primo posto la causa e poi l’effetto, la pretendo. Forse non saremmo arrivati ad avere un’opinione pubblica così contraria e omissiva di tante notizie (come, ad esempio, il lancio di missili ancora adesso verso il Nord di Israele) se avessimo avuto una informazione più onesta.
Articoli correlati: