SETTEOTTOBRE
L’ESPRIT DU TEMPS
Tra poco sarà un anno dal pogrom con cui Hamas ha dichiarato guerra a Israele e all’Occidente. L’Associazione Setteottobre, nata in Italia per combattere l’antisemitismo risorgente nelle nostre società, ha deciso di avviare una riflessione su che cosa è cambiato, dopo il 7 ottobre del 2023, nelle nostre vite individuali e nella vita collettiva.
Paolo Salom
Molti paragoni sono stati fatti, a proposito del 7 ottobre di un anno fa, con l’11 settembre 2001: come un singolo evento possa cambiare il corso della Storia, come quel fatto possa istantaneamente segnare una cesura irrimediabile, con un prima e un dopo delle vicende umane separati da quella linea di frattura eterna. La verità, a parer mio, è che i due eventi hanno poco in comune, se non l’odio perfetto degli autori.
Non è soltanto una questione di numeri. Numeri che parlano chiaro. Se si fa un paragone tra la popolazione degli Stati Uniti e quella di Israele, la proporzione è drammaticamente più pesante, come se gli aerei di Bin Laden avessero ucciso quarantamila e più disgraziati in quella mattina splendente di fine estate.
Detto questo, occorre aggiungere che i terroristi dell’11 settembre hanno scagliato la loro follia contro un obiettivo materiale, le Torri Gemelle, un simbolo dell’Occidente che, per assurdo, poteva essere anche vuoto (ma si contava naturalmente che non lo fosse, quel martedì). I protagonisti della mattanza del 7 ottobre hanno invece deciso di andare a cercare una a una le loro vittime, senza risparmiare anziani, donne e bambini. Li hanno guardati in faccia mentre li uccidevano. Il loro messaggio era: siete meno che insetti per noi.
Non tornerò sulle loro azioni. Dico solo che questo ragionamento mi ha ossessionato da allora, mi ha costretto a riconsiderare le mie percezioni sulla possibilità di una pace (futura) tra Israele e i suoi nemici, legata soltanto alla difficoltà di un compromesso e alla distanza da percorrere perché sia soddisfacente per le parti.
Non è così. E la reazione del nostro mondo, quell’Occidente dove tutto appare legato soltanto alla capacità di “comprendere l’altro”, mi ha convinto che gli ebrei – non importa se nella diaspora o in Israele – sono di nuovo soli e impregnati di un’ansia esistenziale ineluttabile. Con una decisiva differenza dai passati venti secoli: Israele è tornato nella Storia. Per quanto difficile, talvolta insopportabile sia la sua quotidianità, le nostre vicende appaiono tuttavia in sincrono e per questo è lecito coltivare la speranza, in questi tempi bui, di ritrovare fiducia nell’esistenza: ora possiamo almeno combattere per noi stessi. Il mio è un pensiero di ottimismo forzato. Me ne rendo conto. Ma è tutto quel che mi resta per vivere senza abbandonarmi alla disperazione di quel passato che credevamo sepolto per sempre.
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