SETTEOTTOBRE
L’ESPRIT DU TEMPS
Tra poco sarà un anno dal pogrom con cui Hamas ha dichiarato guerra a Israele e all’Occidente. L’Associazione Setteottobre, nata in Italia per combattere l’antisemitismo risorgente nelle nostre società, ha deciso di avviare una riflessione su che cosa è cambiato, dopo il 7 ottobre del 2023, nelle nostre vite individuali e nella vita collettiva.
Alessandra Tarquini
Se penso al 7 ottobre immagino la voce di una donna violentata che grida. Sento la sua disperazione. Quel giorno non ho capito subito cosa fosse successo, davanti a una ferocia che si fa fatica a capire, ad accettare. Sono passate le settimane, i mesi, sono arrivate le notizie. Intanto c’era la guerra. Ho pensato che la storia non sarebbe tornata indietro, che nessuno avrebbe rimesso indietro le lancette dell’orologio, e che, dopo la Shoah, mai la violenza antisemita era arrivata a tanto.
Mi sono accorta che non c’è stata alcuna solidarietà, pietà, empatia per le donne morte, come non c’è oggi per quelle nelle mani di Hamas. Magari qualcuna è incinta e potrebbe essere mia figlia, mia sorella, la mia vicina di casa. Potrei essere io, circondata dall’indifferenza. Difendiamo i diritti delle donne europee e di quelle di tutto il mondo perché ognuna possa avere libertà, vita, possibilità. E quando Hamas stupra, uccide, sevizia, non diciamo nulla perché le vittime sono ebree. Ma quale idea abbiamo di noi stessi? Quale idea dell’Occidente? In nome di cosa è possibile cancellare la pietà? Dell’antiamericanismo? Di un generico terzomondismo che sembra la brutta copia di quello degli anni Sessanta? Come se la politica sbagliata di Netanyahu potesse essere un contrappeso che attutisce l’orrore del 7 ottobre. Sì, però pure voi. Mi sono vergognata tante volte. Le università sono state occupate. Qualcuno dice «from the river to the sea, Palestine will be free». Non c’è niente di nuovo: il confine fra antisionismo e antisemitismo è saltato spesso dal 1948. Chi urla queste parole non ha mai accettato l’esistenza di Israele. C’è un mondo che dice sì agli ebrei morti nei campi di concentramento, ma no agli ebrei vivi, a quelli in Israele. Come se gli ebrei, per avere la solidarietà degli europei, non potessero avere un loro paese.
Intanto la guerra va avanti. Il numero dei morti aumenta. Mi chiedo quale sia la strategia del governo israeliano perché non la vedo. Penso che l’occupazione progressiva dei coloni in Cisgiordania abbia impedito la costruzione di un percorso di pace. Del resto, Rabin è morto molto tempo fa, i palestinesi sono guidati da Hamas e le donne in ostaggio continuano a urlare da sole.
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